mercoledì 21 dicembre 2022

LA SIGNORINA PAPILLON (NEL PAESE DEI BRUTTI SOGNI) - Regia di Piero Di Blasio


In scena dal 15 al 18 dicembre al Teatro Lo Spazio “La Signorina Papillon” testo teatrale di Stefano Benni per la regia di Piero Di Blasio
Benni è un narratore eclettico ed estremamente prolifico le cui opere sono prevalentemente caratterizzate da stravaganti costruzioni narrative ricche di satira e comicità surreale. Con “La Signorina Papillon” Benni conduce lo spettatore nel giardino di Rose (Valeria Monetti) una donna ingenua e indifesa, mai allontanatasi dalla periferia di Parigi. Quel luogo è tutto il suo mondo. Lì trascorre il tempo a collezionare farfalle, a scrivere il suo diario e a curare le rose in compagnia di un pappagallo impagliato. Tutta l'azione si svolge proprio tra il verde del suo giardino, con l'immagine della Tour Eiffel sullo sfondo, emblema della grande città corruttrice (una Parigi di fine 800) in antitesi alla purezza incontaminata della giovane Rose. I tre personaggi che le ruotano intorno mirano a condurla proprio lì. Marie Louise (Ludovica Di Donato) la parigina spregiudicata e arrivista, Armand (Piero Di Blasio) il soldato sbruffone, Millet (Mauro Conte) il poeta mellifluo e seduttore, si fingono amici e innamorati ma tramano un diabolico piano. L'allegra cialtroneria dei tre personaggi suscita un sentimento di iniziale simpatia nello spettatore, sentimento che evolverà in un senso di inquietudine in seguito al loro trasformarsi in demoni tentatori, grotteschi e decadenti nella loro ipocrita disonestà. La maestria sta proprio nel riuscire a far ridere con quella che in apparenza è una commedia densa di nonsense e comicità delirante, di fronte alla quale è impossibile trattenersi, ma nello stesso tempo provocare un senso di disagio e straniamento. Proprio per questo il testo di Benni non è di semplice esecuzione nonostante la leggerezza. Esso necessita infatti di quattro interpreti di notevole mestiere e talento, nonché grande affiatamento considerate le dinamiche vorticose, le gag, le battute dai ritmi serratissimi, le allusioni e i giochi di parole che suonano come intricati scioglilingua. Piero Di Blasio è un attore, cantante, doppiatore e regista teatrale, ed è riuscito con la sua direzione a elaborare il meccanismo ideale, conferendo il giusto valore all'opera di Benni, rappresentata per la prima volta nel 1992 e nel corso degli anni da svariate compagnie teatrali, ma non sempre con lo stesso ottimo risultato. Ludovica Di Donato, Mauro Conte, Valeria Monetti e lo stesso regista e interprete Pietro Di Blasio, hanno tutti alle spalle anni di palcoscenico e, fusi in un amalgama corale perfetto, sanno come divertirsi e far divertire. 

Susy Suarez

LA SIGNORINA PAPILLON

(NEL PAESE DEI BRUTTI SOGNI)

di Stefano Benni

Regia: Piero Di Blasio

Costumi: Francesca Grossi

Movimenti coreografici: Felice Lungo

Luci e tecnica: Federico Luciano

Foto: Valentina Ciampaglia

Con:

Valeria Monetti

Ludovica Di Donato

Mauro Conte

Piero Di Blasio

lunedì 28 novembre 2022

DIARIO DI UN INADEGUATO - Ovvero Mumble Mumble atto II - Regia di Giuseppe Marini


Nonostante la pioggia battente di un martedì sera, il teatro Cometa Off era gremito per la prima del ritorno in scena di Emanuele Salce e il suo “Diario di un inadeguato” diretto da Giuseppe Marini, le cui repliche si protrarranno fino al 18 dicembre. 
In un gioco di metateatro, Emanuele esordisce cercando di esporre al suo compagno di scena (Paolo Giommarelli) 
 l' idea per un nuovo spettacolo che vorrebbe essere il sequel di
“Mumble mumble – Confessioni di un orfano d'arte”, pièce realmente già portata in scena dalla coppia qualche anno fa. Giommarelli sulle prime è ritroso e cerca di convincere Salce che l'idea di un sequel è troppo pericolosa non essendo quasi mai all'altezza delle aspettative del pubblico. Salce però non desiste e nello sforzo di convincere il collega a collaborare, inizia a recitare il suo copione pezzo dopo pezzo coinvolgendolo attivamente chiedendogli di interpretare prima la parte del disincantato psicologo, poi del regista teatrale cinico e un po' cialtrone. Salce apre nuovamente il diario delle sue memorie e condivide aneddoti di intimità familiare e personale svelando conflitti e disagi con la sua personale cifra elegante e raffinata, sostenuto da una drammaturgia dal lessico signorile e ricercato, intriso di educata ironia “british” anche lì dove la narrazione diventa più “esplicita”. Rivanga la sua vita da casanova solitario, schiavo della propria libertà, relegato a un'esistenza di confortevole e solinga routine. Ci porta a comprendere che il suo fuggire da qualsiasi relazione seria sostanzialmente è attribuibile al perenne sentirsi inadeguato, incapace di meritare l'amore e la stima di una donna, ma le sue certezze vacillano grazie all'inatteso arrivo di una bella australiana che si piazza in casa sua per qualche giorno. Seguono momenti di vita domestica nella grande famiglia allargata Salce-Gassman, fino a raccontare poi il suo disastroso esordio a teatro come attore e la sua condizione di “figlio di” quasi condannato alla carriera artistica, crocifisso dalle aspettative insensate dei colleghi derivanti esclusivamente dal suo cognome, come se “Salce” fosse una formula magica che rendesse automaticamente abili a calcare il palcoscenico. Emanuele ci racconta, senza pudore né remore, di quanto si disapprovasse e dicesse continuamente a sé stesso di non valere abbastanza vivendo la sindrome dell’impostore fino a pensare al suicidio. La genialità di questa scelta sta nel fatto che adesso può farlo dall'alto del suo incriticabile talento e carisma. Con la raffinatezza che lo contraddistingue dimostra adesso di poter persino sbeffeggiare quelle che furono le sue debolezze. La sua autoironia è sorprendente così come la sua singolare presenza scenica e sicurezza come artista, a cui è arrivato in seguito alla gavetta e un percorso di impegno e passione, omaggiando così il suo cognome e il ricordo del padre Luciano Salce (1922/1989) regista teatrale e cinematografico, commediografo e memorabile protagonista della vita artistica del nostro paese. La regia di Marini sceglie di lasciare la scena come una scatola nera in cui è appoggiata solo una sedia sulla quale compare e scompare il compagno Giommarelli. Efficace e coinvolgente l'intervento registico sulla ritmica che Salce ha saputo imprimere alla sua performance. Salce, in un flusso di coscienza, non smette mai di inanellare pensieri e aneddoti esilaranti che mi hanno fatto letteralmente ridere fino alle lacrime. Dipinge luoghi, cose e persone mutando vocalità, gestualità ed espressività con maestria, imprimendovi un'autenticità dal sapore retrò. Esorcizzando il passato celebra il presente. Il paradosso è che questa operazione potrebbe essere percepita come narcisistica o autocelebrativa, ma di fatto non lo è. Salce, saldo nell' “adeguatezza” del presente, condivide col pubblico il suo percorso di autoconsapevolezza con onestà. Attraverso un’intenzionale rottura degli schemi di finzione, recitando sé stesso recita l'inadeguatezza di tutti noi.

Susy Suarez 


DIARIO DI UN INADEGUATO

ovvero Mumble Mumble atto II

di Emanuele Salce

con la collaborazione di Andrea Pergolari

con Emanuele Salce

e Paolo Giommarelli

regia di Giuseppe Marini

musiche Paolo Coletta

Costumi Duma D’Andrea – Disegno luci Giacomo Cursi – Assistente alla regia Edoardo Frullini










lunedì 24 ottobre 2022

FAR FINTA DI ESSERE SANI - Regia di Emilio Russo



Questo spettacolo è un omaggio e una riscoperta e restituisce la classe con cui Gaber e Luporini affrontavano i temi universali del disagio sociale e generazionale dell’uomo contemporaneo, da una parte pronto a difendere i propri ideali, dall’altra abbarbicato ad un atavico egoismo e a fatui bisogni materiali. Gli spettacoli di Gaber, attraverso un percorso narrativo di umorismo fulminante, sempre raffinato e leggero, riuscivano a muovere corde profonde con una semplice intuizione ribadendo principalmente il valore sacro della libertà, del coraggio delle proprie idee e della dignità dell’Io. Con “Far finta di essere sani” seppe trattare, sotto vari punti di vista, la crisi dell'individuo moderno che si trova a vivere in una società preda dello stress, dell'alienazione, dell'insoddisfazione perenne, sempre impegnato a trovare modi per nascondere a sé stesso e al prossimo il senso opprimente della propria incapacità di inserirsi pienamente nel ciclo della vita. 

Fu un personaggio che restò sempre un outsider ripudiando il successo televisivo per reinventarsi e reinventare il teatro interpretando sé stesso in spettacoli ricchi di parole e brani musicali rimasti indelebili nella memoria. Molti di questi, tra i suoi più celebri, sono riproposti e reinterpretati attraverso la bravura di artisti come i “Musica da Ripostiglio” :Luca Pirozzi (voce, chitarra, banjo), Luca Giacomelli (chitarra), Raffaele Toninelli (contrabbasso), Emanuele Pellegrini (batteria e percussioni), un gruppo musicale pop-swing italiano formatosi a Grosseto nel 2009 che col tempo ha iniziato a collaborare con registi e attori del panorama italiano prestandosi sopratutto al teatro. I “Musica da Ripostiglio” si adoperano con genuinità a questa rielaborazione dell'opera di Gaber, grazie alla loro maestria musicale, l'affiatamento e il mood ironico che da sempre contraddistingue la loro produzione e le loro performance. I brani che ripropongono sono fra più celeberrimi, e i ritmi vanno dal pop, allo swing, al latino americano e al jazz. Alcuni di questi sono: Far finta di essere sani – Cerco un gesto, un gesto naturale – Lo shampo – L’impotenza – Dall’altra parte del cancello – La marcia dei colitici – L’idea – L’elastico – Il guarito – Un emozione – Chiedo scusa se parlo di Maria – Quello che perde i pezzi – La libertà. A cantare e interpretare i numerosi monologhi e sketch sono Enrico Ballardini e Andrea Mirò. Entrambi nelle vesti sia di attori che di musicisti, si destreggiano nell'uso di svariati strumenti musicali e tengono banco con un buon ritmo e il loro particolare carisma che rende lo spettacolo elegante e godibile. Gabrer fu il poeta della semplicità che seppe aprire strade nuove inventando uno stile assolutamente personale di ironia schizzata e surreale che risultava così accattivante ed esilarante anche perché confezionata su di sé, sulla sua fisicità, sulla sua vocalità, la sua mimica, la sua gestualità. Pertanto va riconosciuto il talento di Enrico Ballardini, attore e musicista, il quale non si lascia mai tentare dall'impulso dell'imitazione, trasferendo ai testi e alle canzoni una sua singolare verve. Andrea Mirò, cantautrice e compositrice polistrumentista, si alterna e duetta col suo compagno di scena in un gradevole equilibrio di cadenze, colori e melodie, in cui il ricordo di Gaber riverbera da lontano.

Susy Suarez 


ANDREA MIRÒ | ENRICO BALLARDINI E MUSICA DA RIPOSTIGLIO

FAR FINTA DI ESSERE SANI

LUCA PIROZZI
LUCA GIACOMELLI
RAFFAELE TONINELLI
EMANUELE PELLEGRINI

di Giorgio Gaber e Sandro Luporini
costumi Pamela Aicardi | luci Andrea Violato

produzione Viola Produzioni e TieffeTeatro Milano
in collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber

progetto sostenuto da NEXT – Laboratorio delle Idee
spettacolo vincitore del Premio Franco Enriquez 2022

venerdì 7 ottobre 2022

CASSANDRA RESURREXIT - Regia di Jan Fabre


In scena dal 4 al 9 ottobre al Teatro Vascello "Cassandra Resurrexit"  
spettacolo in cui la simbologia classica si fonde con il contemporaneo grazie alla visone dell’artista Jan Fabre che ne firma la regia. La drammaturgia di Ruggiero Cappuccio fa risorgere la forza simbolica di un personaggio mitologico che mai come in tempi di crisi e calamità imminenti sprigiona tutta la sua intensità. La sacerdotessa Cassandra (Sonia Bergamasco) appare sulla scena vestita di nero, rigida, cinta da un ampia gonna, il volto coperto da un velo. La scenografia è essenziale, quasi scarna se non fosse per statuette di legno a forma di serpenti di varie dimensioni posizionate tutt’intorno, forse a richiamare la leggenda che vede Cassandra insignita dei suoi poteri profetici dai serpenti sacri nel tempio di Apollo. Cassandra nella mitologia greca è la profetessa di sciagure a cui nessuno crede, condannata ad essere infelice e inascoltata. Alla vigilia della sciagura che la nostra epoca ci prospetta, il suo corpo smembrato si ricompone per tornare in vita, riemerge dalla terra ormai contaminata e offesa dall’azione dell’uomo e con la gola ancora strozzata dal fango, chiede di essere ascoltata. 
Fabre divide i tempi della narrazione in cinque capitoli scanditi dall’angosciante ticchettio di un orologio. Le luci e i colori mutano e Cassandra si cambia d’abito in scena facendoseli scivolare addosso uno dopo l’altro come la pelle di un serpente. Prima nero, poi rosso, poi verde, poi blu e infine bianco. Cinque colori, cinque elementi della terra vituperata in nome del progresso (i meravigliosi costumi sono di Nika Campisi). E’ questa la chiave di lettura dominante del testo, cupo e apocalittico, in cui la sacerdotessa, attraverso quella che risuona come una lunga litania, implacabile vaticina l’autodistruzione dell’umanità. L’impatto d’insieme è indubbiamente di grande suggestione. Jan Fabre è d’altronde un artista sempre teso ad oltrepassare le barriere espressive e riesce a catapultare il pubblico in una dimensione onirica e surreale in cui rende visibile la catastrofe ecologica attraverso la fusione di suoni e immagini (musiche di Stef Kamil Carlens e effetti sonori di Christian Monheim). Sul fondale la proiezione senza sosta di un video in cui si intravede Cassandra muoversi nella nebbia, che con un’ascia tra le mani, quasi come in una danza eterna, cerca di tagliare il fumo in una battaglia tragica ed inutile.  Più che una pièce quasi un’opera d’arte contemporanea nella quale però la forza del messaggio viene depotenziata da un’estetica indubbiamente intensa ed elegante ma che in questo caso risulta ostica e sabotante. Anche le indiscutibili potenzialità interpretative ed espressive di Sonia Bergamasco restano ingabbiate in uno schema stilistico che la vede adoperarsi in una lunga litania senza un coerente cambio o crescendo di tensione. Il lungimirante e intenso testo di Cappuccio, di per sé intriso di un organico aulicismo classico, tra prosa e lirica, finisce nelle maglie di una sofisticata prosopopea radical chic, e nel suo valore estetico l’emozione si smarrisce, e Cassandra rischia di rimanere inascoltata, anche questa volta. 

Susy Suarez


RESURREXIT CASSANDRA – TEATRO VASCELLO: INFO ORARI E COSTI

Dal 4 al 9 ottobre
da martedì a venerdì h 21 – sabato h 19 – domenica h 17
Resurrexit Cassandra
Ideazione, regia, scenografia, video Jan Fabre
Testo Ruggero Cappuccio
Con Sonia Bergamasco
Ruggero Cappuccio dà voce al prologo
Musiche originali Stef Kamil Carlens
Effetti sonori Christian Monheim
Disegno luci Jan Fabre
Costumi Nika Campisi
Assistente alla regia e drammaturgia Miet Martens
Direzione tecnica Marciano Rizzo
Fonico Marcello Abucci
Direzione di produzione Gaia Silvestrini
sarto durante le prove a Troubleyn/ Jan Fabre, Anversa Mario Leko
Costumi realizzati da Officina Farani
Foto Hanna Auer, Marco Ghidelli
Film
direttore della fotografia Rutger- Jan Cleiren
cameraman Kasper Mols, Charles Pacqué
aiuto regista Alma Auer
tecnico luci Duncan Kuijpers
assistente di produzione Annemiek Totté
Produzione
Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival –
Campania Teatro Festival, Troubleyn/ Jan Fabre,
Carnezzeria srls, TPE Fondazione Teatro Piemonte Europa
Durata: 70 minuti


lunedì 26 settembre 2022

IL COLLOQUIO - The assessment - Regia Marco Grossi


In scena al Teatro Vittoria di Roma dal 20 al 25 settembre, “Il Colloquio- The Assessment” è uno spettacolo prodotto dalla Compagnia Malalingua, fondata nel 2014 da Marianna de Pinto e Marco Grossi, attori e drammaturghi diplomati all’Accademia d’Arte drammatica Silvio d’Amico e vincitore del Bando SIAE Nuove Opere “PER CHI CREA” 2019. I protagonisti sono sei candidati chiamati a sostenere un colloquio di gruppo nella sede di una grande compagnia, colloquio che loro malgrado si tramuterà in un'esperienza sconcertante. Il loro “Recluter” (Alessandro Anglani), baldanzoso e pieno di sé, inizia a rivolgere ai candidati le domande di rito e a sottoporli ai test attitudinali che, sulla base di dubbie teorie psicologiche e studi sociologici, dovrebbero aiutare l'esaminatore a individuare i soggetti più “performanti”, con maggiore attitudine alla leadership e all'efficienza produttiva. Il più delle volte sono esperienze umilianti e ridicole, così come tutti gli inglesismi, tecnicismi, acronimi e abbreviazioni di cui ci si sente obbligati a riempirsi la bocca per apparire più “smart” e al passo con i tempi, vezzo di cui nella pièce si fa ampiamente ironia. Nel bel mezzo del colloquio un episodio inimmaginabile creerà lo scompiglio, e nella confusione emotiva da esso creata, tutti gli aspiranti impiegati troveranno la forza di far calare una ad una le proprie maschere trascinando il pubblico nel vortice di un'euforica tragicommedia. Dalla penna di Marco Grossi scaturisce un testo scritto con acume, dai dialoghi serrati e dai personaggi dipinti con perizia. Ognuno a suo modo è emblema della fragilità e delle insicurezze determinate dai meccanismi di performance, efficienza produttiva e competitività, ormai sempre più aggressivi che impongono alterazioni emotive e comportamentali venefiche per l'anima. In un mondo in cui non ci si sente mai abbastanza all'altezza, anche il “top manager” (Augusto Masiello), figura di cui tutti hanno soggezione per il suo potere economico ma sopratutto politico, sentenzia con fare paternalistico ai giovani candidati che “il vero vincitore è colui che è più bravo di tutti a nascondere la propria inadeguatezza”. Il potere del “megadirettore galattico” però, verrà minato da un''improvvisa e sconclusionata rivolta che si rivelerà catartica e salvifica per ognuno di loro. 

Regia ottima dello stesso autore Marco Grossi, soprattutto in relazione alla direzione attori, i quali sono tutti di indubbio talento ed esperienza, sempre in ascolto l'uno dell'altro. Si denota un lavoro sui singoli personaggi maturo e consapevole, in un impianto registico privo di inutili manierismi scenici e in cui non si ha paura di dare anche le spalle al pubblico. Ogni movimento risulta organico e in funzione del testo, ed è proprio la fluidità del reale che porta il pubblico ad agganciarsi senza fatica alla verità di ciò che accade, nonostante il susseguirsi di situazioni grottesche e paradossali. Molte le tematiche toccate con arguzia attraverso la costruzione dei singoli personaggi: il desiderio di maternità di una donna che avrebbe anche voglia di realizzarsi professionalmente (Valentina Gadaleta), l’intellettualoide disincantato e ironico (Fabrizio Lombardo), la disabile genio della matematica sempre assertiva e gioiosa (Alessandra Mortelliti), l'imbranato “figlio di mamma famosa e danarosa” eterno raccomandato (Giuseppe Scoditti), il veterano che dopo aver perso tutto, è costretto a rimettersi in gioco sottoponendosi a colloqui insieme a giovani neo laureati (Marco Grossi), il saccente e petulante continuamente smanioso di dimostrare le sue sedicenti capacità intuitive (William Volpicella). Né moralismi né retoriche, solo la disamina di un momento storico in cui i valori imperanti sono la prestazione, l'efficienza, l'arrivismo, il cinismo, nel silenzio del cuore. E quando il cuore tace e non registra più le cadenze del sentimento, il terribile è già accaduto. 
Susy Suarez 



IL COLLOQUIO - The assessment 

scritto e diretto da Marco Grossi 
con Giuseppe Scoditti, Fabrizio Lombardo, Alessandra Mortelliti, William Volpicella, Valentina Gadaleta, Marco Grossi, Alessandro Anglani e con Augusto Masiello 
assistente alla regia Monica De Giuseppe 
scene Riccardo Mastrapasqua 
luci Claudio De Robertis 
grafica Davide Petruzzella 
produzione 
Teatri di Bari 
Dal 20 al 25 settembre 2022

sabato 23 aprile 2022

PERSONE NATURALI E STRAFOTTENTI - Regia di Giancalo Nicoletti


Giuseppe Patroni Griffi scrisse quest'opera in due atti nel
1975 e all'epoca fu accolta come fortemente scandalosa e provocatoria. A distanza di quasi quarant'anni resta un testo potente e viscerale che riporta agli spettatori del nuovo millennio il sapore di una Napoli decadente avvolta nello spirito dei primi anni settanta tra vicoli e case di tolleranza. La sua voleva essere una tragicommedia cruda ma anche poetica ed esilarante, a tratti surreale.

Entrambi gli atti si svolgono all'interno dell'unico ambiente di una camera da letto all'interno dell'appartamento in cui Donna Violante (Marisa Laurito), una ex serva di un bordello (ruolo che fu di Pupella Maggio nella prima edizione del 1974 con la regia dello stesso autore), affitta le camere. Mariacallàs (Giancalo Nicoletti) è un travestito beffardo e malinconico che per la notte di capodanno ha subaffittato la sua stanza, all'insaputa di Donna Violante, a due amanti alla ricerca di un luogo dove consumare una notte di passione indisturbati. I due amanti sono Fred (Giovanni Ansaldo) giovane studente gay e Byron (Livio Bashir) uno scrittore rivoluzionario di colore, conosciutisi quella notte stessa.

La storia di Patroni Griffi, nelle mani del regista Giancarlo Nicoletti, viene svilita dalla totale mancanza di un'idea registica forte e sensata di fondo.

Il fluire drammaturgico procede piatto e stereotipato tra inutili enfatizzazioni e scene madri poco credibili, movimenti incomprensibili e macchinosi. Tutto sembra contro il testo invece che al suo servizio.

Sono le parole le vere protagoniste della storia, ma l'intero mondo di questi quattro personaggi, tra rimorsi, insoddisfazioni e frustrazioni, si perde nell'aree tra battute inutilmente urlate e cantate, in cui l'intenzione si dilegua e il senso perde ogni ragion d'essere. Imbarazzante il siparietto della Laurito che balla come una marionetta delirante nel desolante intento di strappare la risata del pubblico.

Si consumano maltrattati quei dialoghi e quei monologhi, che dovrebbero essere profondi, intensi e toccanti, capaci di rivelare le fragilità e i sogni che coinvolgono ognuno di loro. La Laurito decanta le sue battute sempre uguale a sé stessa, nell'assenza del benché minimo sforzo interpretativo. Nonostante Bashir e Ansaldo siano due giovani attori a cui il talento non manca, ingabbiati da questo impianto le loro potenzialità risultano mortificate e avvilite. La scenografia tenta apparentemente di ricostruire in maniera fedele e verosimile l'interno di una stanza d'appartamento: due grandi immagini votive alle pareti, sei lanterne giapponesi sospese in aria, un letto matrimoniale, un tavolo e un baule. Da ciò l'incoerenza con le funi a vista, le graticce e il muro spoglio del retropalco in bella mostra. Se voleva essere una scelta “stilistica” se ne sarebbero potute trovare altre molto più esteticamente gradevoli. Come suggerisce d'altronde il titolo, il fulcro della storia è la “naturalezza” della diversità, la “strafottenza” di fronte l'ingiustizia e la discriminazione, ma in questa pièce di “naturale” non sembra esserci proprio nulla e la “strafottenza” che si percepisce è solo quella nei confronti del testo che si è cercato di rappresentare.

Susy Suarez 



PERSONE NATURALI E STRAFOTTENTI

di di Giuseppe Patroni Griffi

Aiuto regia GIUDITTA VASILE
costumi 
GIULIA PAGLIARULO
disegno luci 
DANIELE MANENTI
make up artist 
VINCENZO VERDESCA
direttore di scena 
CLAUDIA TAGLIAFERRO
organizzazione 
CINZIA STORARI
foto 
LUANA BELLI
ufficio stampa 
ROCCHINA CEGLIA
distribuzione 
STEFANO PIRONTI – CHIEDISCENA
produzione 
ALTRA SCENA

Regia di GIANCARLO NICOLETTI



venerdì 1 aprile 2022

RISTRUTTURAZIONE - Regia di Sergio Rubini


Come riverbera nel titolo, l'architettura di tutto lo spettacolo si poggia sul concetto di “casa”, intesa come nido, tana, luogo di spiritualità che plasma anche il nostro essere. 
Rubini calca la scena in un flusso di narrazione intervallandosi al leggio con brani scritti, tra gli altri,dall'architetto Ponti, il poeta Gibran e l'architetto e scrittore romano Vitruvio, i quali esaminano in diverse forme e prospettive la visione di architettura intesa come spazio vitale. Rubini rivive insieme al pubblico le tragiche disavventure fantozziane legate alle sue soluzioni abitative, in un viaggio autobiografico attraverso la sua gioventù e il periodo di lockdown, il quale è stato l'ispiratore di questo ritorno sulle scene. Gli aneddoti sono vari ed esilaranti. Ripercorrono il ricordo di navi da guerra affondate, case allagate, l'impari lotta con mefitiche esalazioni di tubature intasate o vasche da bagno che esplodono. E ancora il rapporto con la compagna, quello ancor più complicato con l'analista e infine il suo approccio troppo accondiscendente che lo fa cadere nelle mani di sfacciati ciarlatani. Rubini calca la scena non da comico ma da uomo che con raffinata autoironia ride e lascia ridere delle sue disgrazie. Tutta la pièce, infatti, oltre ad essere deliziosa e divertente, desidera essere una metafora della nostra personale “ristrutturazione” umana dopo il lungo periodo di pandemia che tanto ci ha legati forzatamente alle nostre abitazioni, facendocene scoprire, spesso per la prima volta, pregi e difetti. C'è chi ha iniziato a prendersene più cura o chi se n'è fatto fagocitare. La ristrutturazione non è mai cosa facile, per tutti è un incubo di calcinacci, polvere e rumore, ma poi tutto scompare e quello che resta è qualcosa di più pulito e giusto per noi. O almeno così dovrebbe essere. Anche il governo, come ci ricorda Rubini, offre un “bonus ristrutturazione” come strumento di sostegno per aiutarci dopo un momento difficile. Ristrutturare ogni tanto è necessario, approfittando soprattutto dei momenti più duri. Ricostruirci nel profondo per apprezzare meglio ciò che ci circonda, anche il nostro nido, sia esso un sottoscala, ribattezzato “Il pozzo”, o uno sgabuzzino con terrazza, o ancora un bellissimo appartamento in centro. La scenografia riprende l'ambientazione di un cantiere edile, con secchi di pittura abbandonati qui e là, pennelli, fogli di giornale e coperture di plastica, accurata visione del caos che si crea fuori e dentro di noi quando in casa è in corso una ristrutturazione. Rubini non è da solo in scena, con lui ci sono i “Musica da Ripostiglio” (Luca Pirozzi chitarra e voce, Luca Giacomelli chitarra, Raffaele Toninelli contrabbasso, Emanuele Pellegrini batteria e percussioni), un gruppo musicale pop-swing le cui musiche fanno da contrappunto alla pièce con la loro trascinante allegria. I “Musica da Ripostiglio” non sono nuovi alla collaborazione con attori e registi del panorama teatrale italiano e il loro tratto distintivo è diventato proprio questa peculiarità che li divide tra performance teatrale e il loro lato cantautorale. In chiusura dello spettacolo, Rubini rende omaggio alle sue origini pugliesi, alle quali è notoriamente molto legato, cantando la poesia di un poeta vernacolare di Grumo Appula. Le liriche, composte in dialetto arcaico, sono state arrangiate in una chiave folk-rock che farebbe venir voglia di alzarsi dalle poltrone e ballare. Di sicuro la soddisfazione più grande per l'artista, è ritrovarsi di fronte una platea stracolma e ascoltare le risate scroscianti di un pubblico entusiasta che ride con lui della tragicommedia della vita. Ristrutturazione” con la sua ironia poetica, sprona verso la ricerca di un rinnovato senso di equilibrio dopo la terribile disavventura di questi ultimi due anni, perché non è mai troppo tardi per provare a “ristrutturare” al meglio la nostra identità.

Susy Suarez 

SERGIO RUBINI IN

RISTRUTTURAZIONE
ovvero disavventure casalinghe raccontate da Sergio Rubini

scritto da Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi
musiche eseguite dal vivo da Musica da Ripostiglio
Luca Pirozzi chitarra e voce
Luca Giacomelli chitarra
Raffaele Toninelli contrabbasso
Emanuele Pellegrini batteria
regia Sergio Rubini




lunedì 7 febbraio 2022

THE SPANK - Regia di Filippo Dini


In scena dal 2 al 13 febbraio al Teatro Parioli di Roma “The Spank” ultima inedita opera di Hanif Kureishi, drammaturgo, romanziere e sceneggiatore anglopakistano. “The Spank” debutta per la prima volta in Italia in prima assoluta al Teatro Carignano di Torino l’11 maggio 2021 prodotto dal Teatro Stabile di Torino
A tradurlo per il pubblico italiano sono stati Monica Capuani e Filippo Dini. Dal 2 Febbraio “The Spank” approda a Roma al Teatro Parioli. Una storia che pone molti interrogativi su quanto a volte la vita che viviamo non sia ciò che vorremmo che fosse e di quanto spesso si decida coscientemente o meno di ignorarlo, accontentarsi, andare avanti. E' il racconto di un'amicizia e della lotta tra istinto e ragione, una critica all'istituzione matrimoniale e familiare e alla cultura borghese. D'altronde in tutte le sue opere Kureishi sviluppa riflessioni profonde sui rapporti umani di varia natura costruendo plot che suggeriscono un punto di vista mai scontato. Vargas (Filippo Dini) nella vita è farmacista mentre Sonny (Valerio Binasco) è un dentista. Entrambi vivono a Londra e sono sposati con figli. Vite apparentemente ordinarie nate dalla scelta dei genitori di emigrare all’estero e di costruire una nuova vita lontani dalle loro radici. “The Spank” è il nome del pub in cui si incontrano ormai da anni per scambiare due chiacchiere davanti a un boccale di birra. La loro è un'amicizia fatta di complicità, confidenze, di spazi misurati sul terreno comune di esperienze condivise, un rapporto solido che finisce col coinvolgere e legare anche i componenti delle rispettive famiglie, fino a che una serie di vicende mineranno le sicurezze costruite nel corso di una vita. Kureishi ha affidato la prima mondiale di “The Spank” ad una compagnia italiana, ma la genesi della sua messa in scena è stata peculiare rispetto al modus operandi convenzionale che vige nelle produzioni teatrali italiane. Sin dall'inizio si è creata una stretta collaborazione tra autore e regista i quali, passo dopo passo, affidandosi l'uno all'altro, hanno plasmato il testo in funzione della messa in scena. Il confronto tra Dini e Kureishi si è trasformato in un dialogo fecondo che ha anche apportato varie modifiche al copione ma sempre in profonda sintonia. Non è usuale che due artisti, soprattutto di un certo calibro, riescano a dialogare in modo sano e produttivo lì dove l'ego creativo non è facile da tenere a bada. Ciò dimostra la loro sensibilità. Lo stesso Dini afferma che il lavoro del regista è quello di essere invaso, permeato dall'opera che deve dirigere, e quello dell'autore è cercare di dare al regista tutti gli strumenti perché il suo testo possa essere compreso e quindi restituito al pubblico. Inoltre per la prima volta Dini si trova a dirigere un altro fuoriclasse del palcoscenico come Valerio Binasco e ad esserne al contempo compagno di scena. Si avverte chiaramente, dall'equilibrio e la coerenza che pervade la pièce, che tra tutti gli artisti che vi hanno lavorato c'è stato un confronto paritario e sereno. L'ininterrotta organicità tra movimenti e parola a cui assistiamo è chiaramente frutto di uno studio profondo del testo e delle dinamiche emotive dei personaggi, caratterizzati con raffinatezza e intensità. I due amici sono molto affezionati l'uno all'altro pur nella loro diversità. Vargas è il più composto e compassato, agganciato al ruolo di marito e padre, fino all'ultimo saldo al timone della sua vita borghese. Sonny è un irrequieto, perennemente in movimento, non riesce mai a stare seduto troppo a lungo sulla stessa sedia, si rigira su se stesso, mangia e beve convulsamente come percorso da un'energia che vuole liberarsi da una condizione che ormai lo sta soffocando. Nel suo goffo tentativo di seguire i propri istinti e i propri desideri, viene travolto da una tempesta che finirà ineluttabilmente con lo scuotere anche le placide acque della vita familiare di Vargas, il quale però, resterà ancorato al suo focolare e ai suoi principi corroso dai dubbi. Scopriamo in entrambi un legame a due figure di mogli molto forti, sottilmente dispotiche, ma Vargas anche rispetto a ciò resta il più pavido e acquiescente dei due. Sonny invece ormai non riesce più ad accettare la finzione. Progressivamente le dinamiche dei rapporti familiari e amicali degenerano in un vortice di sentimenti traditi, crisi adolescenziali, voglia di evadere e nello stesso tempo tornare al guscio protetto e caldo dell'istituzione familiare. Il personaggio di Sonny diviene sempre più tormentato, sbandato, sciatto e inguaribile. In un' ora e quaranta circa di spettacolo nulla suona artefatto o poco chiaro. Ogni gesto, frase, movimento, ha il suo senso e suscita curiosità e attenzione man mano che la storia si dipana. La storia inizia dalla fine. Vargas ci appare nel “loro” pub ormai dismesso, mura e suppellettili ricoperti da teli bianchi. L'uomo, sulla scia della nostalgia che gli suscita essere rientrato dopo tanti anni in quel luogo, decide di raccontarci la storia di Vargas e Sonny, un'amicizia forse mai realmente finita. Così pian piano i teli si alzano e il pub con la sua tipica atmosfera britannica riemerge dal passato. Il palco, costruito in pendenza, concorre a dare alla scena una pronunciata profondità e tridimensionalità quasi a ricordare lo schermo cinematografico. Efficace il disegno luci di Pasquale Mari che scandisce lo scorrere e il fermarsi del tempo. L'onestà con la quale Filippo Dini e Valerio Binasco vivono i loro personaggi non può che trascinare il pubblico nella marea di emozioni, immagini e visioni di cui il testo ribolle. Sonny nella sua “rovina” vince, diventa “l'Eroe”, e come tutti gli eroi parte, si mette in viaggio. Chissà se tornerà mai alla sua Itaca.

Susy Suarez 

The Spank

di Hanif Kureishi

traduzione Monica Capuani

regia Filippo Dini

con Filippo Dini, Valerio Binasco

scene Laura Benzi

costumi Katarina Vukcevic

luci Pasquale Mari

musiche Aleph Viola

aiuto regia Carlo Orlando

assistente regia Giulia Odetto

Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

Per gentile concessione di The Agency (London)

Durata dello spettacolo: 1 h e 40 minuti





giovedì 27 gennaio 2022

E NON RIMASE NESSUNO - Regia di Anna Masullo


Al Teatro Sala Umberto approda “E non rimase nessuno” spettacolo tratto dal romanzo più letto e amato di Aghata Christie Dieci piccoli indiani” scritto nel 1939. 
Tanti sono stati gli adattamenti per il teatro (il primo curato dalla stessa Christie), il cinema e la televisione (come il film del 1945 per la regia di René Clair). Una storia appassionante e ricca di tensione che vede in scena un nutrito cast tra cui due grandi nomi del teatro italiano come Mariano Rigillo e Anna Teresa RossiniTutta l'azione si svolge in un unico ambiente, il salone dell'elegante casa dei Signori Owen, sulla sperduta isola di Indian Island. L'arredo riprende fedelmente lo stile tipico dell'alta borghesia britannica degli anni 30'e 40' (le scene sono di Fabiana di Marco), un mondo popolato da aristocratici, generali, ufficiali e gran dame. I dieci personaggi sono stati attirati in questo luogo apparentemente elegante e ameno, ciascuno con un invito mirato inviatogli direttamente dai Signori Owen. In realtà nessuno di loro li ha mai realmente né visti né conosciuti. Al centro troneggia il grande camino sul quale è scritta la filastrocca dei “Dieci piccoli soldati” che si scoprirà essere la profezia della loro condanna. Le statuette di dieci soldati poste sulla mensola, scompariranno una ad una inspiegabilmente col susseguirsi degli omicidi. Una voce inumana e penetrante li accuserà di essere tutti assassini. Tutto fa perno sul senso di colpa di ogni personaggio, ognuno con un ingombrante scheletro nell'armadio, soffocati dalla lunga ombra del passato che incombe sulle loro anime. Due ore e più di spettacolo con un primo atto inevitabilmente più lento dedicato alla necessaria presentazione dei personaggi, e un secondo atto scandito dal susseguirsi dei misteriosi omicidi. Con il crescere della tensione comincia anche un’introspezione più profonda nell’animo dei personaggi e si viene a costruire un enigma apparentemente irrisolvibile. Ognuno di loro sarà chiamato a rispondere di crimini commessi e apparentemente rimasti impuniti, e l'isola si rivelerà una trappola letale sulla quale non rimarrà nessuno. Man mano che le morti si susseguono i personaggi iniziano a guardarsi con crescente sospetto fino all’epilogo finale che svela un piano geniale nella sua follia, perfettamente orchestrato, nel quale il concetto di “giustizia” è spinto al parossismo. Indubbia la qualità degli interpreti e dell'impianto, nonostante il testo resti ingabbiato nello schema ormai vetusto di un tipico teatro “di maniera”, lì dove invece si avverte più che mai nel teatro l'esigenza di una ritrovata freschezza, anche e soprattutto quando si desidera approcciare a testi più classici. Ogni soggetto ha una caratterizzazione molto decisa, qualora a volte eccessiva. Il più asciutto ed efficace risulta Rigillo, il quale “dirige l'orchestra” con indiscutibile eleganza.

Susy Suarez


E NON RIMASE NESSUNO

di Agatha Christie
traduzione di Edoardo Erba
con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini
con Massimo Reale, Linda Manganelli, Mario Scaletta, Ruben Rigillo,
Fabrizio Bordignon, Enrico Ottaviano, Francesco Maccarinelli, Giuditta Cambieri 
regia Anna Masullo
scene Fabiana di Marco
musiche Alessandro Molinari
disegno luci Marco Catalucci
costumi Susanna Proietti