domenica 9 dicembre 2018

LE SORELLE MATERASSI - Regia di Geppy Gleijeses


In scena al Teatro Quirino fino al 9 dicembre tornano “Le sorelle Materassi”, l'adattamento teatrale del celeberrimo romanzo di Aldo Palazzeschi diretto da Geppy Gleijeses. Questo classico della letteratura italiana, composto nel 1938 dal novelista toscano, è stato già oggetto di celebri adattamenti, come il film del 1943 di Ferdinando Maria Poggioli o la miniserie televisiva Rai per la regia di Mario Ferrero nel 1972. Non è semplice portare sulla scena uno dei romanzi più belli della letteratura italiana, di un autore dallo straordinario stile narrativo, ma questa trasposizione teatrale riesce pienamente a rendere giustizia all'opera grazie anche all' ottima rielaborazione del testo di Ugo Chiti.
I ritmi sono dosati con oculatezza. Un inizio dai tempi più placidi e dilatati, che aiuta a introdurre il contesto, si apre col divertente sogno di Carolina: un improbabile incontro col papa costruito con un efficace gioco di ombre, in cui la donna racconta spudoratamente al pontefice tutta la loro vita.
Con l'entrata in scena del tanto decantato nipote, il ritmo sale coinvolgendo sempre più lo spettatore nella grigia esistenza delle due zitelle, Carolina (Milena Vukotic) e Teresa (Lucia Poli), dedite al lavoro di ricamatrici per il quale sono rinomate nell'ambiente alto borghese.
Comprendiamo che le due anziane donne hanno trascorso una vita di sacrifici e austerità, motivo per cui quando piomba nelle loro vite il nipote Remo, rimasto orfano di madre (la defunta quarta sorella Materassi), vengono travolte da un vortice di quella gioventù e spensieratezza a loro preclusa e iniziano a viverla per la prima volta attraverso lui. Ammaliate anche dalla straordinaria avvenenza del giovane si ammalano di un amore cieco che risveglia in loro un misto di sopiti istinti materni e sensuali. Le sorelle finiscono con l'esserne totalmente soggiogate. Remo al suo arrivo è praticamente semi-analfabeta ma le zie riescono a fargli prendere in pochi mesi la licenza elementare. In seguito però il ragazzo si rifiuta di continuare gli studi. Remo inizia a vivere come un dandy di provincia, fannullone e pretenzioso; tutto gli viene concesso e perdonato, anche le continue scorrerie che con gli amici perpetra in casa, dando fondo alle riserve di vino e cibo delle donne, le quali paradossalmente si divertono a osservare il gruppo di giovani gozzovigliare allegramente a loro spese. Il tutto anche con la complicità della fedele serva Niobe (Sandra Garuglieri), anch'essa stregata dalla leggera alterigia del giovane. La domestica tuttofare, sorniona e semplice d'animo, con impeto di popolana, irrompe sulla scena donando il suo tocco brillante.
L'unica a essere immune al suo fascino è Giselda (Marilù Prati) terza sorella riaccolta in casa dopo un fallito matrimonio con un giovane nobile dissoluto. I rapporti con la sorella non sono idilliaci: Teresa e Carolina non hanno mai compreso e accettato la decisione di Giselda di sacrificare il dovere alla passione. Giselda, ormai disincantata, odia tutto il genere maschile trattandolo con freddezza e indifferenza.
Perfette nei rispettivi ruoli Lucia Poli e Milena Vukotic, sia per la loro fisicità esile e spigolosa, sia per la maestria con la quale sono riuscite a catturare l'anima dei personaggi di Palazzeschi. Carolina appare più tenera e remissiva mentre Teresa a tratti si mostra meno arrendevole, ma entrambe in realtà sono accomunate dalla medesima profonda fragilità. Un duo eccezionale che dosa con mestiere e talento comicità e malinconia. Il vanesio e superbo Remo è interpretato da Gabriele
Anagni, il quale comunica con incisività la mancanza di qualsiasi scrupolo morale del personaggio. La scenografia di Roberto Crea è semplice ed evocativa. Tutta l'azione si svolge in un' unica sala della casa, al centro della quale incombe il “carceriere delle due sorelle”: il tavolo da lavoro. Sul fondo un grande arco che da' all'esterno dietro il quale si profila l'ombra di un imponente albero che lascia immaginare la presenza di un giardino. I costumi hanno quel gusto nostalgico di un tempo, da quelli più rigorosi della quotidianità indossati dalle sorelle ai ridicoli “vestiti della festa”, strabordanti di trini e merletti, sfoggiati nelle due uniche occasioni in cui si allontanano dalla casa. Le musiche di Mario Incudine contrappuntano i momenti più toccanti. Struggente la scena in cui, sedute in proscenio, le donne si spogliano lentamente dalle estrose vesti pulendosi via il trucco, piegate e sconfitte e nel silenzio ci trasmettono tutto il dolore e la rassegnazione. Sembrano quasi essersi rese finalmente conto del gioco sadico nel quale sono cascate, ma nelle scene successive capiamo che nonostante tutto, non potranno mai uscirne. Ormai prosciugate nell'animo e nel portafogli, l'amore per Remo è per assurdo tutto ciò che rimane loro. Le sorelle Materassi è uno spettacolo elegante. Armonioso incontro tra teatro e letteratura dalla regia snella e organica che verrà apprezzato sia da chi conosce già il romanzo da cui è tratto, sia da coloro i quali approcciano per la prima volta alla storia di Palazzeschi. Un dramma familiare le cui tinte ironiche ne svelano tutta l’intrinseca insensatezza.
Susy Suarez

Le Sorelle Materassi

Di Aldo Palazzeschi
Adattamento Ugo Chiti
Regia Geppy Gleijeses
Scene Roberto Crea
Costumi Accademia Costume e Moda
Interpreti principali Lucia Poli, Milena Vukotic, Marilù Prati
Produzione Gitiesse Artisti Riuniti



sabato 10 novembre 2018

MAD WORLD - Regia di Tommaso Capolicchio e Christian Angeli

In scena dal 6 al 17 novembre al Teatro Lo Spazio, “Mad World – Non si esce vivi dagli anni 80 è uno spettacolo musicale che intende evocare lo spensierato fervore culturale e sociale che si respirò in un decennio di impetuoso boom economico, anni in cui era tutto un po' più semplice e genuino. Gli anni delle Fiat Panda, delle 126, dei paninari, dei Burghy, della moda Kitch, dei Duran Duran, degli Spandau Ballet, della musica elettronica, di Pac-Man, dei blue jeans e delle musicassette. Gli anni 80 sono stati anni di transizione, anni dai colori fluorescenti e in cui c'erano molto meno cause di stress.
Tommaso Capolicchio, attraverso i personaggi di questa vivace pièce, celebra il folklore di un'epoca, l'ebrezza di una fase di nuove scoperte e curiosità, di rivoluzione soprattuto in ambito musicale. “Mad World” ci catapulta nella Milano dei primissimi anni ottanta, in un periodo in cui spopolavano ancora le radio libere, e dove fare radio, in tempi in cui non c’erano né computer, né cellulari, era completamente diverso: bastavano un trasmettitore da pochi watt, a volte recuperato da un residuo bellico, due giradischi, un mixerino, un paio di cassette di dischi e un microfono.
Era questo il cosiddetto "Far-West dell'etere", tollerato dai governi di quel periodo. Claudio (Simone Farinon), un giovane pieno di entusiasmo e ambizioni, decide di prendere in gestione una radio libera e salvarla così dalla chiusura. Giamba (Alessandro Giuggioli), il proprietario intenzionato a venderla, si lascia così convincere dalla passione del giovane. Si uniranno al loro sodalizio altri tre variegati personaggi: Kelly (Emma Gordon) una dj londinese, Chantal (Mariavittoria Cozzella) aspirante cantante e show girl e Diego (Luca Attadia) un musicista dark tenero e un po' imbranato.
A mettere però i bastoni tra le ruote alla combriccola, proprio quando le cose sembrano decollare, sarà Frenkie (Francesco Polizzi) proprietario di Radio Karisma, la radio più potente della città, deciso a eliminare gli scomodi concorrenti. Frenkie è il prototipo del “villain”, che con i suoi vestiti sgargianti, le movenze melliflue e il trucco pensante, evoca l'immagine di un demone mitologico o di un perfido Joker.
Diretta da Christian Angeli e Tommaso Capolicchio, la narrazione presenta tutti gli elementi classici come l'imperitura lotta tra il bene e il male e la romance.
I pezzi di repertorio sono stati scelti con cura e gusto. La maggior parte sono suonati dal vivo dal talentuoso musicista Adriano Russo alla chitarra acustica col supporto del coro dei “Transistor”, i cui componenti indossano tutti la camicia rossa con cravatta nera che immediatamente richiama alla mente l'iconico look del gruppo Kraftwerk, pionieri della musica elettronica. Il coro, oltre a fungere da sostegno canoro, viene coinvolto in simpatici interventi nel corso della narrazione.
Gli interpreti di Mad World sono giovani pieni di energia. Sicuramente più attori che cantanti, si destreggiano tra il recitato e il canto con generosità e impegno (non è certo la performance tecnico-canora che conta in uno spettacolo che ripropone pietre miliari della musica dell'epoca); canzoni che saranno riconoscibili ai giovani e ai meno giovani, tra le quali: Photographic dei Depeche Mode, Fade To Grey dei Visage, Don't stop till get enough di Michael Jackson, Heroes di David Bowie, Planet earth dei Duran Duran, Baratto di Renato Zero, Message in a bottle dei Police e ovviamente Mad world dei Tears For Fears, in una particolare versione acustica.
A tutti coloro che hanno vissuto a pieno quegli anni, basteranno poche note e qualche strofa per rivedersi ragazzi davanti al Commodor 64 mentre magari dalla radio ascoltavano esattamente la stessa canzone.
L'opera nasce come riduzione teatrale di una serie per la tv, scritta insieme a Filippo KalomenidisMarcello Olivieri e Nicola Ravera, dal titolo “Self Control” . Una trasposizione senz'altro non semplice e coraggiosa, soprattutto quando non si posseggono grossi mezzi produttivi.  
A parte qualche farraginosità iniziale nello sviluppo, è uno spettacolo frizzante e godibile, e richiamerà romantiche nostalgie negli over quaranta. Per i più giovani sarà invece un'occasione per immergersi in un decennio in cui non esisteva intenet, nulla era “scaricabile” e quando ascoltare la musica obbligava ad acquistare le cassette o a restare incollati alla radio, unico mezzo, appunto, per entrare in contato anche con le tendenze musicali d'oltreoceano. La radio poi, con l’avanzare delle nuove tecnologie, dell’immagine e della comunicazione, perderà pian piano il suo ruolo centrale per la circolazione della musica. Con i videoclip cambierà il mercato discografico, non si cercheranno più i talenti ma solo le belle facce, quei volti che potranno essere trasformati in miti commerciali. Con tale meccanismo si troverà a fare i conti anche la protagonista femminile della pièce, Chantal, la quale dovrà scegliere se piegarsi al sistema della nascente tv commerciale, tutta estetica e ritornelli da supermercato, o rimanere fedele a se stessa.
Susy Suarez 
MAD WORLD
Un musical di Tommaso Capolicchio
Regia di Christian Angeli e Tommaso Capolicchio
Con Simone Farinon, Alessandro Giuggioli, Mariavittoria Cozzella, Francesco Polizzi, Luca Attadia,Emma Gordon
Direzione musicale di Barbara Eramo

mercoledì 31 ottobre 2018

IL GATTO - regia di Roberto Valerio




Il Gatto” in scena al teatro Piccolo Eliseo dal 25 ottobre all'11 novembre, è una pièce tratta da uno dei romanzi che il prolifico scrittore Georges Simenon scrisse negli ultimi anni della sua produzione. Simenon, ormai più che sessantenne, volle narrare la storia di due personaggi che come l'autore, sono fotografati sulla soglia della loro vecchiaia. I due, entrambi vedovi, si incontrano e decidono di sposarsi. Si ritrovano così a condividere gli ultimi anni della loro vita solo e unicamente per non restare da soli.
La loro unione di fatto non si realizza mai: non consumano il loro matrimonio, non condividono il passato, i ricordi, l'appartenenza a differenti estrazioni e men che meno quel loro nuovo presente. Presto tutto diventa noia, solitudine, claustrofobica routine, silenzi senza fine.
Un giorno però, questa lotta di nervi quotidiana, fatta di ripicche costanti, sguardi di sottecchi e frecciatine, raggiunge il suo acme con la morte dell'adorato gatto di Émile (Elia Schilton), il quale si convince che ad ucciderlo sia stata la moglie che non aveva mai potuto sopportarlo. Di ciò mai si avrà la certezza, mentre inconfutabile sarà la colpevolezza di Émile rispetto alla morte del pappagallo di Marguerite(Alvia Reale)
Quasi tutta la vicenda si svolge tra le mura di casa, tra polverose abitudini, silenzi, messaggi lapidari scritti su dei bigliettini e pasti consumati alla stessa tavola ma senza alcun tipo di condivisione.
Tale costante tensione psicologica, riesce quasi a farsi sentire nei nervi dello spettatore, il quale si trova a fare i conti con istinti che risiedono in tutti noi, persino in due insospettabili vecchietti, che finiscono come due ragazzini, a infliggersi futili bassezze.
Ottimo il lavoro di adattamento del testo di Flavio Bussotti.
I due protagonisti si fanno narratori di loro stessi, uscendo continuamente dall'azione, parlano di sé in terza persona, per poi ripiombare nella verità del presente scenico. La storia non si dipana in maniera piatta e lineare, ma a dare dinamicità ad un testo che batte sul senso di ossessione, chiusura e ostile rigidità, sono i numerosi flashback. Tutta la vicenda infatti, parte dal climax, cioè la morte dell'adorato gatto di Émile, per poi tornare indietro ai tempi non sospetti del loro primo incontro, dai toni quasi teneri, tra emozioni e leggeri imbarazzi, e rientrare a vedersi consumare l'inesorabile tracollo della loro vita coniugale.
Incalzanti musiche, dai toni ansiogeni negli opportuni snodi, concorrono ad accompagnare ancor più efficacemente lo spettatore nel delirio psicopatologico di questo quadretto familiare.
Le scelte registiche sono armoniose e funzionali, assecondate da due attori di indubbio mestiere, senza dimenticare l'incursione di una “terza incomoda”, la signora Martin (Silvia Maino) la quale inizia a rompere il patologico equilibrio della loro solitudine venendo a far visita a Marguerite per pregare e spettegolare con lei. Alvia Reale è chiamata a incarnare donne molto diverse tra loro, ed è notevole la disinvoltura con la quale passa dal fare lascivo e sfrontato della cameriera di facili costumi con cui l'anziano marito si intrattiene saltuariamente in un bar notturno, e la spensierata leggerezza della defunta ex moglie di Émile.
Il pubblico resta in bilico tra il riso e l'atterrimento, di fronte a dinamiche che possono apparire surreali e tragicomiche, ma che insinuano il sospetto misto a consapevolezza che simili degenerazioni dei rapporti umani possano essere realtà, quando a un punto della vita la ragione si sfalda e ci si sente persi e senza più una vera identità.
Susy Suarez 




Il gatto
Dall’omonimo romanzo di Georges Simenon
Adattamento Fabio Bussotti
Con
Alvia Reale Marguerite
Elia Schilton Émile
e Silvia Maino Signora Martin
Scene Francesco Ghisu
Costumi Francesca Novati
Luci Carlo Pediani
Suono Alessandro Saviozzi
Regia Roberto Valerio
Produzione COMPAGNIA UMBERTO ORSINI

giovedì 11 ottobre 2018

REPARTO AMLETO - Regia di Lorenzo Collalti


Tutte le volte che sentiamo il nome di Amleto nel titolo di uno spettacolo teatrale, siamo portati a pensare che ci si stia per trovare dinnanzi all'ennesima improbabile rivisitazione del classico dei classici, in nome di una sedicente ricerca artistica, ma questo spettacolo non è nulla di tutto questo, anzi, con arguta ironia dileggia proprio tale mal costume. Amleto stanco di essere maltrattato e profanato dai registi moderni, va in crisi, e colto da un esaurimento nervoso che lo porta a non capire più esattamente quale sia il suo vero senso, si ritrova su una sedia a rotelle, nel reparto di igiene mentale di un ospedale, sorvegliato da due singolari infermieri. Amleto ci viene presentato come un ragazzo giovane e fragile, il quale suscita quasi tenerezza nel suo sentirsi confuso e schiacciato dal peso del significato filosofico che da quattro secoli viene attribuito alla sua tragedia e al suo personaggio, dalla gravità di quel “dubbio universale” che si trascina dietro il suo monologo, divenuto il monologo teatrale per antonomasia.
La tragedia di Amleto in questo caso, diventa il volersi liberare dalla tragedia. Con questa pièce, che ha tutti i toni della commedia, la compagnia “L'uomo di Fumo” affronta un argomento per nulla faceto.
Il principe di Danimarca (Luca Carbone) finalmente si ribella, e prova a spiegare il suo tormento al primario della clinica (Lorenzo Parrotto), il quale per guarirlo gli propone di mettere in scena il suo psicodramma, proprio con l'aiuto dei due improbabili infermieri (Cosimo Frascella e Flavio Francucci). Ne scaturiscono dialoghi surreali, battibecchi e gag che fanno perno soprattutto sui buoni tempi comici dei due infermieri, che se pur fannulloni e indolenti, prenderanno a cuore il caso del giovane Amleto e involontariamente, con le loro parole, lo guideranno nel suo percorso di consapevolezza.
Niente scenografia, tutto poggia su un testo ben scritto, e quattro attori giovani che gestiscono con sicurezza la scena.
Il ritmo è serrato, sinergico l'incontro tra registri linguistici differenti, quello popolare e folcloristico dei due infermieri e quello del disorientato Amleto, il quale farnetica con linguaggio aulico versi del bardo e profondi concetti intellettuali.
Amleto vorrebbe solo riuscire a tornare alla sua autenticità, a spogliarsi dal fardello del suo “personaggio” e poter essere solo una “persona”. Vorrebbe rifuggire una volta e per tutte dai soprusi dei registi contemporanei, i quali non sapendo resistere alla tentazione di abbandonarsi alle più sottili analisi di reconditi processi mentali e alla ricerca di un'originalità a tutti i costi, lo rimestano sulla scena agghindato nei modi più indecorosi.
Ce la farà il giovane principe di Danimarca finalmente ad emanciparsi?
Un dubbio resta, ma che non sia amletico.
Susy Suarez 

Reparto Amleto 
scritto e diretto da Lorenzo Collalti
con Luca Carbone, Flavio Francucci, Cosimo Frascella, Lorenzo Parrotto

Produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale 
in collaborazione con L’Uomo di Fumo - Compagnia Teatrale
Spettacolo vincitore di Dominio Pubblico edizione 2017

venerdì 6 luglio 2018

MOLTO RUMORE PER NULLA - Regia di Loredana Scaramella





Il Silvano Toti Globe Theatre è un piccolo gioiello delle serate d'estate nel cuore di Villa Borghese, ed entrarvi dona sempre un'emozione speciale.  Chi ha avuto la possibilità di visitare l'originale storico a Londra, resterà  incantato nel rendersi conto di quanto questa copia italiana sia a esso incredibilmente fedele e di quanto sia di valore per questa città una struttura che propone e valorizza un tipo di teatro ancora gradito e applaudito a distanza di secoli.
Nel momento in cui il sole tramonta e si accendono le luci di scena, si crea un'atmosfera magica senza eguali. Un inatteso Gigi Proietti compare sul palco prima dell'inizio dello spettacolo con un saluto agli astanti e per inaugurare, con un breve discorso di introduzione, la nuova stagione (ricordando che questo è ben il quindicesimo anno della storia del Silvano Toti Globe Theatre). Quindici anni in cui questa meravigliosa realtà ha resistito indomita. Proietti, poi, libera il palco allo spettacolo accomiatandosi a suo modo con un esilarante sonetto in romanesco che elucubra sulla verità del teatro, la menzogna e la finzione.
Ad aprire la stagione quest'anno è “Molto rumore per nulla”, nella versione diretta da Loredana Scaramella, classicamente e puramente in costume d'epoca, nessun rimaneggiamento o rivisitazione, ma con la purezza del testo shakespeariano e la professionalità di ben sedici attori in scena.
La celeberrima commedia shakespeariana è pregna di riferimenti letterari, giochi di parole, equivoci, finti decessi, tradimenti, rispettando la sua più classica delle tradizioni, ma svelandosi non solamente come una semplice commedia, visto che spesso attraversa anche i toni foschi del dramma. Il tutto è diretto con armonia ed eleganza. Le coreografie sono impeccabili e gli spazi del teatro, così unico nel suo genere, sono utilizzati con arguzia prestandosi al divertente gioco di corde e drappi bianchi, che si trasformano ora in un'altalena, ora in un pendaglio da forca, ora in appigli su cui aggrapparsi e nascondersi, o atti a improvvisare separé. Curati e ben assortiti i costumi. Molto coreografiche le grottesche maschere che i personaggi maschili indossano alla festa nella quale inizieranno poi a delinearsi le trame e gli amori. L'originale spirito della commedia, dunque, risulta pienamente rispettato. Questo è un testo leggero solo a prima vista, mai banale; è una farsa dove tutto ciò che si osserva è in realtà una 'costruzione'. La parola è la vera divinità che gioca insieme ai personaggi, modificandone comportamento e destino. E' la 'diceria', un nulla che passa di bocca in bocca, che svilupperà tutto quanto fino al limite di una tragedia provocando, così, il “rumore per nulla”. Shakespeare, da sempre un antesignano, ci dimostra che le fake news esistevano già nel 1600, e, trattandosi di una commedia, aspettatevi pure il lieto fine.
Grande cura nella scelta del cast, molto affiatato, considerando che sedici attori in scena, anche per un regista in gamba, non sono mai semplici da gestire, tanto meno in un tipo di allestimento del genere, dal ritmo vorticoso e sostenuto per quasi tre ore. Tre ore che scorrono con piacevolezza, grazie anche agli inserti musicali del trio William Kemp, il quale sulle musiche del poliedrico compositore e attore Stefano Fresi, scherzano sui ritmi della tarantella e sulla dolcezza scanzonata degli stornelli.
Al momento dei saluti finali gli attori scendono nel pite, assieme al pubblico, si lanciano nelle danze di un'allegra tarantella. Impossibile non lasciarsi trascinare dal ritmo e dall'allegria o abbandonarsi a due volteggi prima di uscire da quel piccolo sogno nel cuore di Villa Borghese che è il Silvano Toti Globe Theatre, a cui auguriamo ancora tanti anni di intensa e pregevole attività. 

Susy Suarez  



"Molto rumore per nulla" 
Regia di Loredana Scaramella
Interpreti:
Margherita LARA BALBO
Claudio FAUSTO CABRA
Ero MIMOSA CAMPIRONI
Don Pedro FEDERIGO CECI
Seconda guardia JACOPO CROVELLA
Frate Francesco, Sorba DIEGO FACCIOTTI
Borracio ALESSANDRO FEDERICO
Antonio, giudice ROBERTO MANTOVANI
Leonato MAURIZIO MARCHETTI
Don Juan MATTEO MILANI
Beatrice BARBARA MOSELLI
Corrado
Orsola
Corniolo, Baldassarre
Benedetto
Prima guardia IVAN OLIVIERI
LOREDANA PIEDIMONTE
CARLO RAGONE
MAURO SANTOPIETRO
FEDERICO TOLARDO
Musiche eseguite dal vivo
Trio WILLIAM KEMP
Percussioni Michele Di Paolo
Mandolino Luca Mereu
Chitarra Antonio Pappadà
REGIA
Loredana Scaramella
MAESTRO MOVIMENTI DI SCENA
Alberto Bellandi
AIUTO REGIA
Ivan Olivieri – Francesca Cioci
MUSICHE
Stefano Fresi
COSTUMI
Susanna Proietti
DISEGNO LUCI
Umile Vanieri















giovedì 17 maggio 2018

PRIMA DI ANDAR VIA - Regia di Francesco Frangipane


In scena dal 9 al 27 maggio al teatro Piccolo Eliseo, torna in scena “Prima di andar via”, opera scritta da Filippo Gili per la regia di Francesco Frangipane, uno dei testi che insieme a “L'ora accanto” e “Dall'alto di una fredda torre”, compongono una fortunata e intensa trilogia drammaturgica che indaga in modi diversi temi legati al rapporto tra amore e morte, dinamiche familiari distorte, il libero arbitrio, la struttura della tragedia classica che incontra il contemporaneo.
Una madre, un padre, due sorelle e un fratello riuniti intorno a un tavolo, una cena come tante, una famiglia ordinaria che chiacchiera di cose ordinarie, gli esami universitari, i nipotini, le vacanze. Scherzano, ridono, battibeccano, le voci si accavallano affrescandoci uno spaccato di quotidianità. Solo il figlio più grande Francesco, resta a lungo silente, ma quando aprirà bocca, lancerà una bomba che scuoterà le fondamenta di tutta la famiglia. “Io domani non sarà più vivo” il suo agghiacciante annuncio.
Ha un fascino sinistro il modo in cui intorno all'intimità domestica della tavola da pranzo, pian piano assistiamo al cedimento psichico di tutti i personaggi e osserviamo affiorare conflitti, rimpianti, pudori, ostinazioni.
La pièce ci lascia spiare il quotidiano, con i suoi tempi, le pause, i lunghi respiri, i silenzi densi che non tolgono ritmo, anzi, accelerano i battiti, e raffinano l'ascolto. Francesco si sente un morto che cammina, svuotato dalla recente perdita della moglie, annuncia la sua decisone, ponderata, razionale, incontrastabile, presentando la morte come qualcosa di salvifico, unico strumento di libertà.
Ma più che il dramma dell'uomo, assistiamo al dramma della famiglia.
Dove finisce l'amore e dove inizia l'egoismo,l'attaccamento, la morbosità, la paura dell'instabilità, il castello di certezze e abitudini che la presenza di un congiunto costruisce nella nostra vita?
La scenografia è essenziale, fredda, severa, un tavolo, delle sedie, alcuni suppellettili che ai lati della scena suggeriscono la presenza degli altri ambienti domestici separati da mura invisibili. I personaggi non escono mai di scena, restano immobili ai lati del palco come statue di cera, annichiliti, per poi tornare a combattere come alternandosi al centro di un ring immaginario che non vedrà né vincitori né vinti.
Ciò che emerge è un generale senso di impotenza, il cui apogeo si manifesta in un abbraccio collettivo, un intreccio di disperazione, il vano tentativo di aggrapparsi alla vita di Francesco, alla loro vita, non farlo andare via, tenerlo a sé a tutti i costi. Sono tante le domande che la pièce solleva nelle coscienze degli spettatori.
Chi è il vero egoista? L'uomo che sceglie di utilizzare il suo libero arbitrio e decidere per la sua vita, a dispetto del dolore che sa di causare ai suoi congiunti, o quello dei suoi cari che vorrebbero ignorare quell'urlo d'angoscia e tenerlo accanto a loro anche così, uno zombie assuefatto al dolore? È normale che un uomo resti prostrato a tal punto per la perdita di una persona cara o ciò è sintomo di debolezza d'animo, scarsa presenza a se stesso? Magnifico Giorgio Colangeli nel ruolo di un padre ora burbero, ora tenero, che tenta di far valere la sua autorità nell'affanno di un cuore spezzato. Michela Martini è una madre piccola e fragile, Barbara Ronchi è la sorella più ostinata e combattiva, Aurora Perez è la più giovane, colei che sembra detenere un'ingenua saggezza, l'unica che in qualche modo riesce a empatizzare col dolere del fratello e rassegnarsi ad esso. Con il suo grido “E' finita!” tenta di placare la pertinacia e l'accanimento del resto della famiglia.
Non sembra facile trovare una verità nel dipingere una simile tragedia che può apparire inverosimile su molti punti di vista, ma Frangipane vi riesce, grazie alla recitazione asciutta di ottimi interpreti, una regia al servizio di un testo che se pur spietato, è priva di eccessive e inutili enfasi e lascia la platea sospesa tra lunghi silenzi e attese vibranti di parole.
Susy Suarez



Prima di andar via
di Filippo Gili
con Giorgio Colangeli, Filippo Gili, Michela Martini,
Aurora Peres, Barbara Ronchi
scenografia Francesco Ghisu
costumi Cristian Spadoni
luci Beppe Filipponio
musiche originali Roberto Angelini
regia Francesco Frangipane
Produzione ARGOT PRODUZIONI
Durata spettacolo: 75 minuti – atto unico




venerdì 6 aprile 2018

INCOGNITO - Regia di Andrea Trovato

In scena dal 4 al 22 aprile al teatro Della Cometa, il regista Andrea Trovato porta in scena “Incognito” la nuova opera del giovane drammaturgo contemporaneo Nick Payne.
Esibendosi su un palco dalla scenografia semplice, pochi elementi che danno un senso di circolarità, quattro attori, due uomini e due donne, passano da un personaggio all'altro, da una situazione all'altra, avanti e indietro nel tempo. Un incarico estremamente impegnativo che il cast esegue con ammirevole abilità e precisione. Le storie che si intrecciano sono basate su fatti realmente accaduti, rimaneggiate dal drammaturgo inglese. Una segue la vicenda di Thomas Stoltz Harvey, il patologo americano che nel 1955 rubò il cervello di Einstein convinto che gli esperimenti su di esso avrebbero rivelato il mistero del suo genio. Trascorse il resto del secolo non riuscendo a dimostrare questa convinzione. Un'altra storia ci catapulta negli anni '50, e al commovente caso di Henry, un giovane che dopo un pionieristico intervento al cervello per alleviare la sua epilessia, perde ogni capacità di formare nuovi ricordi, ed esiste in quello che è stato descritto come un "tempo presente permanente". Torniamo ai tempi moderni con Martha, una neuropsicologa bisessuale neo-divorziata, che ha intrapreso una relazione con un'altra donna e la cui comprensione del fatto che "il cervello è una macchina di narrazione ed è davvero bravo a ingannarci" la sta spingendo ad alcune conclusioni piuttosto sconcertanti sul perché questa sua concezione potrebbe essere "liberatoria". Personaggi e storie si alternano in un rendez-vous senza soluzione di continuità. Solo secchi cambi di luce a effetto suggeriscono i passaggi.
La regia sceglie di dare alla pièce un taglio dark-noir, asciutto, fumoso, grigio il colore dominante anche degli abiti di tutti i personaggi. Peccato solo per alcune scelte nella traduzione del testo, che dall'inglese all'italiano perde soprattuto in vari passaggi, nei quali si avverte una certa forzatura. La parte più penetrante emotivamente, è quella che coinvolge Henry. Payne ha adattato il noto caso di vita reale di Henry Molaison, affiancando al giovane danneggiato una moglie devota, la quale fatica ad accettare la condizione irreversibile del suo amato. È solo verso la fine, quando Henry, un ex pianista, racconta involontariamente la stessa storia più e più volte, in attesa di una luna di miele con la sua fidanzata a Brighton, siamo davvero solidali con la sua pena straziante. Convinto dalla moglie a rimettersi al piano, esibisce all'improvviso senza sforzo la sua abilità, mostrando al contempo tutta la complessità del cervello umano.
Abbiamo un carattere intrinseco o semplicemente siamo un insieme di pensieri e ricordi? Se smontiamo quei ricordi o incontriamo nuove informazioni che sconvolgono la nostra identità stabile, chi diventiamo?
Uno spettacolo di qualità, che accende un' interessante riflessione sui meccanismi della mente, e lo spettatore avrà bisogno di attivarla per non perdersi nella ragnatela di connessioni che Payne ha tessuto con arguzia, e che questa ottima compagnia compone con grande capacità.


INCOGNITO

di Nick Payne

Con Graziano Piazza, Anna Cianca, Giulio Forges Davanzati, Désirée Giorgetti

Regia Andrea Trovato

mercoledì 14 febbraio 2018

SORELLA CON FRATELLO - Regia Alessandro Machìa

Il regista Alessandro Machìa porta in scena al teatro Argot Studio “Sorella con fratello”, il testo di Alberto Bassetti che chiude un' ideale “trilogia della famiglia” (composta da Le due sorelle e I due fratelli, premio Vallecorsi 2013). Questo atto unico, che vede protagonisti una sorella e un fratello appunto, è un dramma privato, che monta intorno al senso di colpa, all'amore malato, morboso, all'ossessione che sfocia in follia, al delitto, alla ricerca disperata di una improbabile redenzione. Lea (Alessandra Fallucchi) sta per uscire da una detenzione di dieci anni in una struttura psichiatria in seguito all'accusa di matricidio. Leo (Alessandro Avarone) suo fratello, costantemente presente e dedito alla sorella, anche durante gli anni della reclusione, è venuto a prenderla e a portarla finalmente via con sé. La storia si dipana con ritmo serrato e crescente attraverso il dialogo tra i due giovani, i quali si trovano ineluttabilmente al momento della verità, delle confessioni, della resa dei conti. Si innesca una lotta verbale che rivela
il rapporto grottesco e malato che ha legato i due protagonisti, il mondo interiore complesso e contraddittorio di entrambi, il rapporto con la realtà fragile e allucinatorio. La scena è quasi vuota; una sedia, una tastiera e un microfono. Lea viene da un passato di cantante dalla vita sregolata tra droga e alcool. Il fratello la incita a riprendere a cantare, insieme a lui, in un sogno delirante di fama e possesso. La donna accompagnata dal fratello alla tastiera, canta con voce dolente e incolore, come desse suono alla sua anima ormai troppo bistrattata e vilipesa dalla vita, ma imprevedibilmente sarà lei la più lucida e determinata nella sua decisione finale. Dal soffitto, sempre in penombra, incombe sulla scena un crocifisso, emblema di una morale cristiana tossica e borghese, in cui i concetti di senso di colpa e di condanna, gravano su tutto. Catturante e sicuramente emotivamente impegnativo, il lungo e liberatorio monologo di Leo, in cui il fratello racconta per la prima volta alla sorella, e forse anche a sé stesso, quel che aveva sempre creduto un “segreto”. Avarone con la giusta misura di pathos e tensione, guida lo spettatore giù, nei meandri del suo inferno. La regia è coerente e misurata, per un testo che non ha bisogno di mirabolanti trovate per arrivare allo stomaco. Entrambi vittime e carnefici, Leo e Lea ci raccontano come l'amore, anche fra due fratelli, possa esplodere e bruciare, fino a capovolgersi e profanarsi fino all'estremo.
Susy Suarez


  FATTORE K e AC ZERKALO
SORELLA CON FRATELLO
 
di Alberto Bassetti

regia Alessandro Machía

con Alessandro Averone e Alessandra Fallucchi

scenografia Maria Alessandra Giuri

costumi Sara Bianchi

light designer Giuseppe Filipponio

assistente regia Elena Crucianelli

grafica e video Camilla Mandarino

promozione facebook Martina Mecacci

venerdì 26 gennaio 2018

TUTTI I MIEI CARI - Regia di Francesco Zecca


In scena dal 23 gennaio al teatro Argot Studio “Tutti i miei cari” per la regia di Francesco Zecca.
Un monologo femminile in cui, attraverso l'ottima scrittura di Francesca Zanni, la poetessa statunitense Anne Sexton torna dall'aldilà per raccontarci del suo inquietante mondo di dentro.
Quasi sempre atteggiata in una posa rigida, innaturale, con un cocktail in una mano e una sigaretta nell'altra, una posa artefatta come la sua perfetta vita da borghese benestante. Appare di bianco vestita come una sposa. Il vestito da sposa è il suo scafandro, che l'ha trascinata giù, relegandola a una vita da moglie, madre e casalinga, come i dettami soprattuto dell'epoca imponevano. Ma a che prezzo?
Le sue parole ci conducono in un viaggio imprevedibile dentro quella che chiamiamo follia. Ma cos'è infondo la follia? Esiste davvero o è solo un' intermittenza del cuore che ti fa trovare solo dinanzi a te stesso, al mistero dell'essere, all'enigma angosciante del senso dell'esistenza, a sentite di appartenere ad un'altro pianeta, a non appartenere alla “vita di fuori”, come ci ripete più volte la Sexton in questa intensa pièce.
Crescenza Guarnieri impeccabile, si avvolge totalmente in ogni piega del suo personaggio. Nei suoi occhi a tratti scintilla la follia, naviga il dolore, traspare la lucidità, sfolgora l'euforia, in un perfetto connubio tra padronanza del mestiere, cuore e generosità.
Certamente sostenuta da un'ottima direzione, la si percepisce come un'apparizione, un' anima in pena risorta dal purgatorio per raccontare di sé e poi tornare indietro, all'infinito. Il bianco e il rosso sono i colori dominanti. Rose rosso vivo sulla sua vaporosa gonna bianca e ai suoi piedi, bianchi gli schienali delle sedie di un' astratta tavola, seduti intorno alla quale l'immaginazione ci rivela le incorporee presenze di “tutti i suoi cari”: il padre, la madre, le due figliolette, il marito e il medico psichiatra che la tenne in cura.
Tutti i suoi cari, che non riuscivano ad essere il centro del suo mondo. La priorità era scrivere, scrivere come respirare. Con i suoi reading dolenti, riuscì a scuotere e impressionare tanto da arrivare a vincere il premio Pulizer per la poesia nel 1967.
Il suo genio letterario fu fortemente legato al suo tormento. Si dice che l'arte nasca dalla sofferenza, che sia un mezzo, un meccanismo eccezionale capace di aiutare a ristrutturare il dolore. Forse è quello che la Sexton cercava di fare riversando tutto nei suoi versi, ma che non le riuscì a salvare la vita.
Tutti i miei cari” è un ottimo omaggio a una poetessa che ha usato la parola come una spada impietosa per squarciare il velo dell'ipocrisia borghese, e che grazie a questa pièce, muore e risorge ogni sera, sul un palco, davanti agli occhi di chi vorrà ascoltarla.

Susy Suarez 


TUTTI I MIEI CARI
 
di Francesca Zanni
regia Francesco Zecca
con Crescenza Guarnieri
scene Francesco Zecca
costumi Grazia Materia
light designer Claudio Cianfoni