mercoledì 14 novembre 2012

IL DISCORSO DEL RE - Regia Luca Barbareschi- (Recensione)


Devo confessare che dopo aver visto ed amato il pluripremiato film interpretato da due mostri sacri come Colin Firth e Geoffrey Rush, sono stata subito molto scettica riguardo questa trasposizione teatrale, giudicandola proprio in virtù del grande livello del film, un'operazione alquanto temeraria, dalla quale non mi sarei potuta aspettare altro che una delusione.
Ammetto di essermi dovuta ricredere, poiché mi sono trovata di fronte ad una messa in scena molto elegante e retta con efficacia da Luca Barbareschi nei panni del logopedista Lionel Logue, e da un sorprendente Filippo Dini nei panni del principe Albert (Bertie) duca di York, fedele alla sceneggiatura di David Saidler, a cui è stato conferito l'oscar per la migliore sceneggiatura originale proprio per “Il Discorso del Re”, ed il quale era anche presente in sala all'anteprima dello spettacolo il 12 novembre al teatro Quirino di Roma.
La vicenda ruota intorno al “problema” del duca, il quale, dopo la morte di suo padre Re Giorgio V e l' abdicazione di suo fratello Re Eduardo VIII (Mauro Santopietro) che preferì seguire le ragioni sentimentali (la sua relazione con la divorziata Wallis Simpson), a quelle di Stato, viene incoronato Re Giorgio VI d’Inghilterra.
Con il suo paese sull’orlo della guerra e disperatamente bisognoso di un leader, sua moglie, Elisabetta (Astrid Meloni), la futura Regina Madre, organizza al marito un incontro con l’eccentrico logopedista Lionel Logue (Luca Barbareschi), nella speranza di farlo guarire da quel problema che lo rende inadatto e perfino ridicolo in un ruolo così importante.
Dopo un inizio burrascoso, il Re accetta di sottoporsi ad un tipo di trattamento per nulla convenzionale.
Ma il vero asse portante è rappresentato dal modo in cui il dottore cerca di scoperchiare il vissuto di Re Giorgio VI, a scopo di sconfiggere il profondo senso di inadeguatezza che lo attanaglia, e dal al rapporto umano che si crea tra il nobile ed il dottore, il quale riesce a “ridare la voce" ad un uomo prima che ad un re.
Forse qualche scena di raccordo un po' prolissa ma necessaria per comprendere meglio l'andamento narrativo, affidata però a personaggi secondari alcuni dei quali parecchio deboli interpretativamente parlando, che dicendola un po' troppo “forte chiara” creavano l'effetto “spiegone” che dovrebbe sempre essere evitato.
Un paio di sketch inseriti forse con l'intenzione di alleggerire, ma che risultano poco efficaci, stridono e rischiano di guastare il tono della messa in scena, in cui l'elegante ironia british fa da padrona.
Molto suggestive le immagini storiche di repertorio che tra una scena ed un'altra vengono proiettate, le quali ci aiutano ad immergerci nell'atmosfera del tempo e ci ricordano che la vicenda a cui stiamo assistendo, è ispirata a personaggi ed eventi realmente accaduti.
Grande affiatamento tra i due protagonisti, che sanno e esprimere con talento e profondità il mondo interiore dei loro personaggi. Peccato per il cast femminile, davvero poco convincente. Formidabile invece Dini, il quale padroneggia la balbuzia per più di due ore di spettacolo senza mai perdere in naturalezza, risultando sempre credibile ed intenso, cosa che presuppone un grande lavoro fisico e mentale che non tutti gli attori avrebbero la capacità di reggere, uno dei motivi per cui nonostante le debolezze, questo spettacolo merita di essere visto.
Susy Suarez


Il discorso del Re
di David Seidler
Teatro Quirino di Roma dal 13 novembre al 2 dicembre
regia di Luca Barbareschi

con
Luca Barbareschi (Lionel Logue)
Filippo Dini (Bertie - Duca di York)
Ruggero Cara (Winston Churcill)
Chiara Claudi (Myrtle Logue)
Roberto Mantovani (Cosmo Lang - Arcivescovo di Canterbury)
Astrid Meloni (Elizabeth - Duchessa di York)
Mauro Santopietro (David - Principe di Galles)
Giancarlo Previati (Re Giorgio V  e Stanley Baldwin - Primo Ministro)

sabato 27 ottobre 2012

LA NOTTE POCO PRIMA DELLA FORESTA-con Pierfrancesco Favino- Regia Francesco Gioielli- (Recensione)


Presentata come “lettura drammatizzata” di lettura ha molto poco, a parte il copione con cui Favino si accompagna e che lo aiuta a non perdere la corrente del lungo e impetuoso flusso di parole che è questo monologo di Bernard-Marie Koltès. Ciò non sembra limitare per nulla la forza della sua presenza scenica, non costringe la sua libertà di lasciarsi trascinare dalla marea di emozioni, immagini, visioni, di cui il testo ribolle, in un misto di istinto e consapevolezza, con una sincerità disarmante.
Da apprezzare anche il lavoro di adattamento compiuto sul testo, insieme a Lorenzo Gioielli, (il quale ne ha curato la regia), abilmente sfrondato dagli originali eccessi di lirismo. Ciò senza snaturarlo, rende tutto più fruibile e immediato, anzi, la poeticità di questo mondo notturno e visionario arriva con maggior forza, un mondo quasi onirico, popolato da personaggi borderline, mendicanti, prostitute e teppisti.
Il protagonista, con la sua parlata “straniera”, (Slavo? Nord Africano? Difficile dirlo), è un personaggio senza nome che finiamo per identificare con l'idea dello “straniero”, l'emblema del malessere, della solitudine, del sentirsi estranei, diversi, esiliati, di gente che fatica per riuscire a “nascere”, a ritrovare le proprie radici.
Favino evoca torrenti di immagini, una realtà fatta di solitudine metropolitana che è simbolica e concreta al tempo stesso, fisica e metaforica, carnale e poetica, urlata e sussurrata. Riesce con intensità a rendere tali metafore ardentemente vive, corporali, tangibili, lasciando però sempre delle domande, l’attesa, la sensazione di un viaggio nell’intimo denso di rabbia e nostalgia.
L'onestà con cui Favino riesce a vivere i suoi personaggi è un onestà che lascia attonito lo spettatore non abituato a riceverla con una tale potenza e nello steso tempo poi, con una tale semplicità, solo in una scena vuota senza nient'altro che una giacca sdrucita e il copione in una amano.
Vedere Favino in scena è un esperienza da non perdere, poiché dimostra in teatro come al cinema di avere quel talento fuori dal comune che lo ha reso l'attore di fama che merita di essere.
Susy Suarez 

                               Pierfrancesco Favino
in
LA NOTTE POCO PRIMA DELLA FORESTA“
lettura drammatizzata da Bernard-Marie Koltès
regia di Lorenzo Gioielli



Andato in scena il 26 ottobre nell'ambito del progetto "REP", un’operazione straordinaria che non ha precedenti nella programmazione teatrale nazionale.
Quaranta attori si sono riuniti nell’associazione culturale Gruppo Danny Rose, e hanno deciso di diventare impresari di se stessi per sfidare la crisi strutturale che sta attraversando la scena italiana, giocando autonomamente al ‘rilancio’ con ben 27 spettacoli, proposti a rotazione in una programmazione che vede un doppio spettacolo al giorno per 2 mesi consecutivi, al Teatro Spazio Uno di Vicolo dei Panieri 3 

venerdì 5 ottobre 2012

E'VERO (Radiance) - Regia Paolo Sassanelli (Recensione)


 In scena al Teatro Spazio Uno il 4 e 5 ottobre (repliche  20, 21, 23, 25  ottobre) questo testo del'autore australiano Nowra, è un perfetto esempio di drammaturgia contemporanea di qualità, pregno di passione, sentimento e sorprese che incollano letteralmente gli occhi e le orecchie dello spettatore al palcoscenico. Questa messa in scena per la regia di Paolo Sassanelli, rispetta e valorizza l'anima dell'opera, grazie anche al talento di tre attrici che se pur molto diverse tra loro, riescono ognuna a trovare una verità nei loro tormentati personaggi e a risultare credibili nei panni di tre sorelle.
Ci troviamo di fonte al dramma familiare di tre donne che si rincontrano dopo una lunga lontananza il giorno del funerale della madre, un padre mai conosciuto, figura su cui aleggiano inquietanti segreti. Tre personalità perseguitate ognuna dal proprio bagaglio di ombre e fantasmi del passato, dal quale, finalmente insieme, tenteranno di liberarsi. Grande energia delle tre interpreti, ritmi mai calanti, scene pregne di pathos in cui non mancano sferzanti battute che giungono nei momenti giusti a smorzare i toni della tragedia e fanno ridere di gusto. Suggestive le diapositive proiettate tra un cambio di scena e l'altro, che insieme alla musica, rimandano a ricordi di un infanzia perduta, ad attimi di malinconica serenità. Uno spettacolo da non perdere e da promuovere, essendo anche uno dei tanti in scena al Teatro Spazio Uno nell'ambito del progetto “REP”, la compagnia di repertorio: un’operazione straordinaria che non ha precedenti nella programmazione teatrale nazionale.
Quaranta attori si sono riuniti nell’associazione culturale Gruppo Danny Rose, e hanno deciso di diventare impresari di se stessi per sfidare la crisi strutturale che sta attraversando la scena italiana, giocando autonomamente al ‘rilancio’ con ben 27 spettacoli, proposti a rotazione in una programmazione che vede un doppio spettacolo al giorno per 2 mesi consecutivi. Questa operazione dimostra come grazie a Dio reagire si può, e come noi attori possiamo avere la forza di non lasciarci spegnere umanamente ed artisticamente dall'attuale sistema produttivo.
Susy Suarez


E'VERO (Radiance)
con MARIT NISSEN, GIULIA WEBER, GIULIA FRANCIA
Regia di PAOLO SASSANELLI

venerdì 28 settembre 2012

CRONACHE D'UN UOMO D'AFFARI IN TEMPO DI GUERRA - Regia Roberto Pappalardo (Recensione)


     Lo spettacolo “Cronache d'un uomo d'affari in tempo di guerra”, è in scena al teatro Vittoria dal 27 al 29 settembre, e partecipa alla nuova edizione del concorso “Salviamo i Talenti”, un'iniziativa che ha l'intento di dare la possibilità a talenti ancora sconosciuti di mettere in scena per tre serate la propria opera.Gli spettacoli in concorso sono quattro, e concorreranno per aggiudicarsi il Premio Attilio Corsini. La giuria sarà composta dal pubblico stesso che, dopo aver assistito a tutti e quattro gli spettacoli, sceglierà il suo preferito. Insieme alla giuria del pubblico ci sarà anche una giuria di addetti ai lavori: produttori, registi, direttori di doppiaggio, direttori di teatro… affinché, oltre a dare il loro parere di esperti, abbiano l’occasione di conoscere dei nuovi talenti che potrebbero così trovare delle opportunità di lavoro. Una lodevole operazione che cerca di essere anche uno stimolo per il pubblico, direttamente coinvolto nell’importantissimo compito di scegliere il suo Teatro e il Teatro di domani. Per agevolare una partecipazione che sia la più ampia possibile, il costo dell’abbonamento per i quattro spettacoli sarà di soli 20 euro e darà diritto a far parte della giuria. Tra gli spettatori che comporranno la giuria verrà sorteggiato un abbonamento in omaggio per la stagione 2012/2013 del Teatro Vittoria.
Questo spettacolo in concorso ci porta in Polonia tra il 1935 ed il 1945. Il protagonista è un imprenditore coraggioso e spregiudicato, intenzionato a trarre il massimo profitto dalla situazione bellica. Riesce, grazie ai suoi abili intrallazzi, a stringere solidi rapporti d'affari con i nazisti che occupano la Polonia. Apre una fabbrica e per la produzione utilizza manodopera ebrea. Con il passare del tempo e il crescere delle persecuzioni la sua fabbrica dà rifugio ad un numero crescente di ebrei, che così sfuggono alla deportazione nei lager e a morte sicura. L'industriale finisce per trovarsi sempre più coinvolto in un sistematico impegno umanitario teso a salvare vite umane, ricorrendo a questo scopo anche alla corruzione dei gerarchi nazisti ed all'imbonimento di un crudele comandante del campo di sterminio di Cracovia, al quale riesce a sottrarre parecchi internati. A guerra finita l'imprenditore-eroe ha esaurito completamente il suo patrimonio, ma ha salvato più di mille ebrei e a lui andrà per sempre la loro riconoscenza e quella dei loro discendenti. Chiaramente tratto dal libro “La lista” di Thomas Keneally, dal quale Spielberg a sua volta ha tratto il suo ancor più noto e pluripremiato film “The Shilner's list”. La trasposizione scenica di un lavoro dalla simile mole di contenuti, immagini ed emozioni, potrebbe apparire pretenzioso, di certo non semplice, motivo per cui ho trovato pregevole il modo in cui in questa piecè si sia riuscito a condensare una storia tanto appassionante, proprio perchè non si limita ad essere solo una semplice narrazione del dramma dell'Olocausto; quest'ultimo, anzi, sembra fare da sfondo a ciò che viene narrato. Attraverso la raffigurazione di vari personaggi, si afferma la trasversalità di un dramma che va oltre le nazionalità dei popoli, e che ha riguardato tutta l'umanità. Ne esce fuori un lavoro alleggerito dall'originale crudezza. Il narratore che fa da raccordo è l'umile contabile ebreo della fabbrica, che attraverso la sua macchina da scrivere, ci guida nello spazio e nel tempo dell'azione. Ottima la scelta delle musche che contrappuntano i momenti più emozionanti, lì dove le parole non sono necessarie. Nonostante la sintesi i personaggi non perdono il loro spessore e la storia si dipana con equilibrio riuscendo a raggiungere atmosfere di grande intensità emozionale soprattutto nell'ormai ai più conosciuto finale, che non può non smetter di commuovere ricordandoci che “Chi salva una vita salva il mondo intero”.
Susy Suarez

P.S.
Queste sere andate al Vittoria! Salvate i talenti!

Cronache d'un uomo d'affari in tempo di guerra”
con
Mario Merone
Pio Stellaccio
Roberto Pappalardo
Silvia Imperi
Maria Scorza

scritto e diretto da Roberto Pappalardo
costumi e scene: Stefania Pisano
musiche originali: Pascal Marchese



domenica 22 luglio 2012

L'IMPORTANZA DELLA RUOTA PER IL CRICETO - Regia Antonella Civale (Recensione)


Il teatro Belli di Roma dal 9 al 28 luglio è aperto alla rassegna “Open Space” , una pregevole iniziativa atta a dare spazio a nuove proposte teatrali, compagnie giovani, testi che siano una boccata di aria fresca, proprio come questo “L'importanza della ruota per il criceto”, per la primissima volta in scena il 21 e 22 luglio, scritto e diretto da Antonella Civale. Protagonista della storia è Maurizio, trentacinquenne, immerso in una soffocante vita di provincia, i suoi incerti tentativi di combattere l'indolenza di un'esistenza in gabbia, i viaggi intorno al mondo dai quali però torna sempre a rifugiarsi lì, un dolore improvviso che concorre a paralizzare ogni suo slancio. Grande prova d'attore per Pio Stellaccio, quasi sempre in scena, sviscera nel suo monologare il mondo interiore del protagonista con grande passione in ogni  sfaccettatura, la frustrazione del non poter reagire, le amare ironie, il sentirsi piccolo e non abbastanza forte da riuscire a crescere, la rabbia per la consapevolezza della stasi in cui lentamente muore. Toccante Masaria Colucci nel ruolo della madre-chioccia, che ricorda con tenerezza un po' anche la nostra di mamma, apprensiva e sempre orgogliosa del suo eterno bambino, nella sua semplicità d'animo però, riesce a riconoscere gli errori che ha commesso a cui capisce di non poter porre rimedio ormai. Eclettico e sempre convincente Giuseppe Pestillo in tre ruoli chiave e molto diversi: il marziale e severo cugino, mortalmente conservatore, il quale disapprova i timidi tentativi di Maurizio di allontanarsi dal suo piccolo e rassicurante mondo di periferia, poi lo spocchioso bellimbusto dell'esilarante “primo appuntamento al ristorante” a cui Maurizio si troverà ad assistere da cameriere, ed in fine il mendicante, quasi una proiezione del protagonista, le sue paure e frustrazioni incappucciate, sulle quali riverserà ceco, tutto il suo livore.
Un testo che non lascia indifferenti, che ci mette in guardia sul pericolo di finire senza rendercene conto intrappolati in una di quelle ruote per criceti, sulle quali si corre, corre senza muoversi di un millimetro, ma che diventano importanti per chi ha bisogno di illudersi di andare da qualche parte per non impazzire.
Susy Suarez

L'IMPORTANZA DELLA RUOTA PER IL CRICETO

Uno spettacolo scritto e diretto da Antonella Civale e interpretato da:

Masaria Colucci
Antonella Civale
Camilla Fraschini
Giuseppe Pestillo
Pio Stellaccio

Il 21 e il 22 Luglio al Teatro Belli, Piazza Sant'Apollonia, Trastevere.

Prima dello spettacolo buffet per il pubblico!

mercoledì 13 giugno 2012

JAKOB VON GUNTEN- Regia Lisa Ferlazzo Natoli (Recensione)


“Jakob Von Gunten” in scena al teatro India di Roma dal 13 al 17 giugno è tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore svizzero Robert Walser il cui protagonista è il giovane Jakob (Andrea Bosca) il quale decide di entrare nell' Istituto Benjamenta per imparare l'arte di servire, gli allievi però, invece che essere istruiti, sono abbandonati a loro stessi e alla loro indolenza.
Sarà in particolare l’amicizia di Kraus (Emiliano Masala), uno studente diligente e zelante, ad aiutare Jakob a trascorrere le monotone giornate nell’Istituto, che appare subito come un mondo parallelo a quello reale, un “non-luogo” in cui ci si sente sospesi e chiusi come pesci in una boccia. La sola docente “attiva” della tetra scuola è Lisa (Monica Piseddu) la sorella del severo direttore dell’istituto, Herr Benjamenta (Alberto Astorri), una donna angelica e triste che Jakob scruta da lontano e per la quale il ragazzo nutre un sentimento di timida venerazione. Jakob “prigioniero” volontario tra le mura della scuola fatta di aule spoglie e buie, polverose stanze vuote ed appartamenti segreti, con il passare del tempo prende coscienza che in realtà l’istituto è solo un imbroglio.
E' chiaramente stato fatto un grande lavoro di studio e riadattamento del testo e la ricerca di un linguaggio non convenzionale, astratto, che unisce tutte le componenti espressive della recitazione teatrale, sicuramente non facile ed immediato, ma che sviscera i significati più reconditi dell'opera e che presuppone una partecipazione intellettuale attiva per decifrarne i messaggi.
Andrea Bosca, che ha visto nell'ultimo anno la sua carriera decollare tra fiction e cinema, dimostra in questa prova d'attore grande passione per il suo mestiere, avendo evidentemente svolto un lavoro sul personaggio molto accurato, così come gli altri attori della compagnia, che dosano con perizia tutti gli enigmatici equilibri di gesti e parole.
Lo spettacolo riesce ad avvicinarsi il più possibile a ciò che sta oltre le parole ed ad immergerci in un mondo deformato, che ha regole e misure diverse dalle nostre, a farci respirare le atmosfere claustrofobiche, il misto di attesa, di disagio e precarietà, a farci vivere il fascino onirico di un mondo di altri tempi. 
SUSY SUAREZ 

mercoledì 6 giugno 2012

LA PALESTRA-Regia Veronica Cruciani (Recensione)








La palestra è il luogo dell'attesa, il luogo nel quale si compie la tragedia nella tragedia. Tre genitori attendono di sapere perchè sono stati convocati dalla preside della scuola dei propri figli. Aspettando si ritrovano a congetturare sui motivi possibili, nessuno di loro può anche solo lontanamente prevedere la realtà che di lì a poco gli sarà messa davanti una volta che la preside entrerà nella palestra e racconterà loro ciò che faticheranno a credere. I figli si sono macchiati a soli quattordici anni di un reato ignobile. I genitori negheranno, li difenderanno come è umano che un che un padre o una madre faccia, ma anche dopo aver avuto la prova inconfutabile dell'avvenuto reato, i tre amorevoli parenti si trasformeranno in belve, la preside verrà accerchiata da  tigri che cominceranno a girarle intorno sempre più aggressivi e violenti nell'ormai irragionevole tentativo di difender la prole a tutti i costi, anche a scapito di una ragazzina innocente, di una donna dai sani principi mossa dalla buona fede, la quale sulla base della figura istituzionale che ricopre, cerca solo di fare la scelta più giusta. La madre e i due padri si avventano sulla vittima nello stesso luogo e con la stessa ferocia con cui i propri figli si sono avventati sulla loro, e come i figli, diventano complici di un atto aberrante dal quale non avranno via d'uscita.
Il ruvido testo di Scianna mette con lucidità in risalto il lato oscuro che si annida nell'animo di tre genitori di buona famiglia, e l'innescarsi di un istinto di protezione meschino e vigliacco, lì quando tale istituzione viene minata. Di fronte l'evidenza decidono di negarla, e questo egoismo cieco che arriva alle estreme conseguenze, non può che impattare contro le nostre coscienze e lasciarci un amaro senso di disgusto. Lo spettacolo ci spinge nelle viscere di una vicenda troppo simile a qualcosa di già visto e già sentito nelle cronache di tv e giornali e ci permettere di riflettere su come spesso i piccoli mostri siano generati da madri e padri meschini e poveri di spirito i quali trasmettono tale pochezza alla propria genie. Una tematica molto interessante da veder sviluppata di una pièce, il dramma sale molto lentamente, i tempi sono registicamente dosati con sapienza per condurci allo scoppio del dramma ed al suo acme con il massimo coinvolgimento. Incisivi i lunghi silenzi nell'attesa, intensi ed eloquenti, anche se il finale risulta un po' irrisolto, come se ancora qualcosa avrebbe potuto essere detto.
I quattro attori sanno come far venire a galla con chiarezza e veridicità la psicologia di personaggi così diversi ma nello stesso tempo troppo uguali, figli del medesimo background medio borghese ipocrita e perbenista, che all'occorrenza sa come privarsi di ogni scrupolo.


LA PALESTRA 
di Giorgio Scianna
regia Veronica Cruciani
con Filippo Dini, Fulvio Pepe, Teresa Saponangelo, Arianna Scommegna
Assistente alla regia Fiona Sansone
Scene e costumi Barbara Bessi
Disegno luci Gianni Staropoli
Musiche Paolo Coletta
Video Marco Santarelli
Ginnasta del video Giada Regoli
produzione Compagnia Veronica Cruciani
in coproduzione con Armunia
e in collaborazione con il Teatro di Roma

domenica 27 maggio 2012

MARIAELISABETTA NATE REGINE -Regia Lisa Galantini e Alessia Giuliani (Recensione)




MariaElisabetta, nate regine” è andato in scena il 26 maggio presso il teatro Quirino di Roma nell'ambito della rassegna “Autogestito” per la direzione artistica di Mariella Bargilli.
La pièce è liberamente tratta dall'opera di Schiller, pilastro della drammaturgia romantica, in cui l'autore oltre a rappresentare il conflitto che vide protagoniste due delle più potenti ed iconiche regine della storia, ne approfondisce ed evidenzia i mondi interiori, i meccanismi psicologici che portarono le due donne alla rottura ed al tragico epilogo che ne conseguì.
Seguendo lo scontro tra Maria (Alessia Giuliani) ed Elisabetta (Lisa Galantini), entriamo in un universo di sordidi intrighi di palazzo, gelosie, risentimenti, paure e fanatismi.
È il contrasto tra due personalità fortemente intriganti, tra il pubblico e il privato, tra ragion di Stato e sentimenti, politica e amore, cinismo e riscatto morale.
L'aspetto più umano delle due altere sovrane viene sviscerato con pienezza e sentito in ogni parola dalle interpreti di cui viene a galla tutta l'esperienza e lo spessore.
Nonostante tutto si fondi essenzialmente sullo scontro verbale tra le protagoniste ed i loro lunghi monologhi interiori, interessanti le soluzioni registiche che hanno dato alla pièce una giusta dinamicità, attraverso giochi di luci e movimenti legati alla forte simbologia degli oggetti in scena, come il grande specchio che le sovrasta, le coppe di vino che si muovono sul tavolo e che vorticano tra le loro mani, ed i lunghi vestiti che le drappeggiano, emblemi del potere regale di cui sono investite. Suggestivo il modo con cui Maria è costretta a spogliarsene rinchiusa da Elisabetta nelle segrete in attesa di sentenza, dove assistiamo all'affiorare di tutto il suo senso d'impotenza, del terrore della morte, e poi l'orgoglio con cui se ne riveste nel momento dell'ultimo confronto, l'indomabile orgoglio che sarà la sua condanna a morte definitiva.
L'adattamento del testo e molto buono e fedele allo spirito di quello originario, ricco di momenti di grande tensione e di rara bellezza, alcuni dei quali richiamano applausi a scena aperta. Efficace nel condensare i profili psicologici di due personaggi, che anche se nate regine, non possono esimersi dall'essere anche donne in conflitto tra di loro come con le loro umane debolezze.
Susy Suarez

MariaElisabetta nate Regine  
di Emanuela Guaiana
diretto e interpretato da Lisa Galantini e Alessia Giuliani
scene Massimo Adario e Davide Valoppi
luci Sandro Sussi
debutto nazionale

martedì 22 maggio 2012

IL PIGIAMA- Regia Daniele Prato (Recensione)


“Il Pigiama” in scena dal 22 al 27 maggio al teatro Piccolo Eliseo di Roma nell'ambito della rassegna “Roma Città Teatro”, è un irriverente e poco convenzionale monologo che vede in scena Francesco Montanari nei panni di un personaggio un po' naive, il quale si lascia andare a tormentosi interrogativi, elucubrazioni, ragionamenti, pensieri ed aneddoti che si rincorrono confusionari ed asimmetrici proprio come la stanzetta in cui si aggira in calzini e pigiama a righe, (la tipica mise che diventa un po' per tutti una divisa quando la depressione ci sequestra in casa).
L'uomo in pigiama è stato lasciato da una donna, un episodio che lo precipita nel senso di abbandono più nero. Confuso e costernato si arrovella per cercare di capire, trovare una direttrice. Alla fine la prostrazione per l'amore finito, diventa un trampolino di lancio per i mille perchè della vita, le “piccole cose” su cui non ci fermiamo mai a riflettere ed a considerare. Ed è proprio per cercare di esorcizzare il senso di sconfitta che l'inquieto protagonista snocciola le sue fragilità, prova a ricordare a se stesso tutto ciò che ama, ciò che odia, ripercorre momenti, delusioni, e ci fa sorridere con tenerezza nonostante l'apparente sarcastico cinismo con cui sembra affacciarsi alla vita, poiché possiamo riconoscere le nostre stesse debolezze, i medesimi meccanismi mentali che ci soverchiano ogni qual volta un piccolo grande insuccesso, come può esserlo la fine di un amore in cui avevamo creduto, ci fa sentire indifesi ed inadeguati al mondo esterno.
Montanari, sembra stia riuscendo sempre di più a staccarsi di dosso l'eredità del personaggio della serie tv Romanzo Criminale che lo ha reso celebre al grande pubblico, dimostrando di avere un suo senso della comicità che gli permette di funzionare anche in lavori più brillanti, uno su tutti la fortunata e tremendamente esilarante serie web “Super G”, anch'essa, come questo monologo, scritta da Daniele Prato, in cui ritroviamo tutto l'humor irriverente ed arguto dell'autore, sfrontato ma mai volgare.
“Il pigiama” è quello in cui ognuno di noi almeno una volta nella vita si è ritrovato a cercare di autoanalizzarsi, a rivangare tutto ciò che avremmo voluto che fosse e non è stato, fantasticare su come sarebbe potuto essere, sui perchè, e dopo tanto affannarci per cercare di capire, un barlume di consapevolezza ci sussurra che forse dovremmo essere un po' più tolleranti, sopratutto nei confronti di noi stessi.
Blu.
Susy Suarez
IL PIGIAMA”
Ovvero solo gli stupidi si muovono veloci
di Daniele Prato
con Francesco Montanari
regia Daniele Prato

venerdì 11 maggio 2012

DI NOTTE CHE NON C'E'NESSUNO- Regia Luca De Bei (Recensione)












Di notte che non c'è nessuno, in bilico sul ciglio di un binario morto,  due giovani delinquenti (Azzurra Antonacci e Gabriele Granito), aspettano la loro vittima, un sedicente avvocato neo padre,(David Sebasti) figlio di quella media borghesia più ipocrita e perbenista, un uomo rassegnato ad eseguire il proprio lavoro diligentemente e senza gioia, spostando il proprio traguardo sempre più in basso, accontentandosi di essere un esecutore passibile, in una mediocrità senza vergogna e senza onore.
Tre personaggi incastrati in una vita che non avrebbero mai voluto vivere, l'uomo portatovi dal desiderio di successo e carriera, i due giovani da situazioni familiari ed economiche problematiche, mondi diversi e modi diversi di cercare di uscirne: l'avvocato provando ad assecondare finalmente i suoi veri impulsi, i ragazzi tentando il sequestro di un bambino con l'intento di racimolare abbastanza soldi per scappare via dallo squallore di un'esistenza fatta di strada, prostituzione, droga, alcool, ma non rendendosi conto di anelare ad un mondo altrettanto squallido, anche se più sfavillante.
Ben presto infatti, l'uomo ed il ragazzo smettono di apparirci come vittima e carnefice ma si incontrano nella voglia di raccontarsi e raccontare i propri dolori ed il vuoto assoluto di valori in cui sopravvivono.
Scritto e diretto da Luca De Bei, dopo il riuscitissimo “La mattina dieci alle quattro”, il regista ed autore, torna nuovamente a parlarci di disagio metropolitano ma in chiave moto diversa. Le tinte si fanno più fosche, non si respira alcun anelito di speranza.
Anche in questo lavoro traspare una chiara sensibilità nel lavorare con gli attori, attento e dosato, le sue messe in scena riescono sempre ad essere molto efficaci e attuali, preciso nel tratteggiare ed esprimere i profili psicologici dei personaggi che finiamo col sentire sempre incredibilmente vicini anche se anni luce lontani dai nostri mondi. Particolarmente talentuosa ed appassionata Azzurra Antonacci, che non perde in naturalezza nemmeno nei momenti in cui il dolore e la frustrazione emergono esasperati dalle sostanze e dalla paura per il guaio più grande di loro in cui si sono messi.
Susy Suarez

al Teatro Lo Spazio
Direzione Artistica Alberto Bassetti e Francesco Verdinelli
Via Locri, 42 Roma, San Giovanni, una traversa di Via Sannio  0677076486  0677204149 info@teatrolospazio.it
DALL 9 AL 27 MAGGIO 2012
ORE 20.45 DOMENICA ORE 17.00
DI NOTTE CHE NON C'È NESSUNO
testo e regia di Luca De Bei
con Azzurra Antonacci, Gabriele Granito e David Sebasti
Scene Fancesco Ghisu
Luci Marco Laudando