mercoledì 31 ottobre 2018

IL GATTO - regia di Roberto Valerio




Il Gatto” in scena al teatro Piccolo Eliseo dal 25 ottobre all'11 novembre, è una pièce tratta da uno dei romanzi che il prolifico scrittore Georges Simenon scrisse negli ultimi anni della sua produzione. Simenon, ormai più che sessantenne, volle narrare la storia di due personaggi che come l'autore, sono fotografati sulla soglia della loro vecchiaia. I due, entrambi vedovi, si incontrano e decidono di sposarsi. Si ritrovano così a condividere gli ultimi anni della loro vita solo e unicamente per non restare da soli.
La loro unione di fatto non si realizza mai: non consumano il loro matrimonio, non condividono il passato, i ricordi, l'appartenenza a differenti estrazioni e men che meno quel loro nuovo presente. Presto tutto diventa noia, solitudine, claustrofobica routine, silenzi senza fine.
Un giorno però, questa lotta di nervi quotidiana, fatta di ripicche costanti, sguardi di sottecchi e frecciatine, raggiunge il suo acme con la morte dell'adorato gatto di Émile (Elia Schilton), il quale si convince che ad ucciderlo sia stata la moglie che non aveva mai potuto sopportarlo. Di ciò mai si avrà la certezza, mentre inconfutabile sarà la colpevolezza di Émile rispetto alla morte del pappagallo di Marguerite(Alvia Reale)
Quasi tutta la vicenda si svolge tra le mura di casa, tra polverose abitudini, silenzi, messaggi lapidari scritti su dei bigliettini e pasti consumati alla stessa tavola ma senza alcun tipo di condivisione.
Tale costante tensione psicologica, riesce quasi a farsi sentire nei nervi dello spettatore, il quale si trova a fare i conti con istinti che risiedono in tutti noi, persino in due insospettabili vecchietti, che finiscono come due ragazzini, a infliggersi futili bassezze.
Ottimo il lavoro di adattamento del testo di Flavio Bussotti.
I due protagonisti si fanno narratori di loro stessi, uscendo continuamente dall'azione, parlano di sé in terza persona, per poi ripiombare nella verità del presente scenico. La storia non si dipana in maniera piatta e lineare, ma a dare dinamicità ad un testo che batte sul senso di ossessione, chiusura e ostile rigidità, sono i numerosi flashback. Tutta la vicenda infatti, parte dal climax, cioè la morte dell'adorato gatto di Émile, per poi tornare indietro ai tempi non sospetti del loro primo incontro, dai toni quasi teneri, tra emozioni e leggeri imbarazzi, e rientrare a vedersi consumare l'inesorabile tracollo della loro vita coniugale.
Incalzanti musiche, dai toni ansiogeni negli opportuni snodi, concorrono ad accompagnare ancor più efficacemente lo spettatore nel delirio psicopatologico di questo quadretto familiare.
Le scelte registiche sono armoniose e funzionali, assecondate da due attori di indubbio mestiere, senza dimenticare l'incursione di una “terza incomoda”, la signora Martin (Silvia Maino) la quale inizia a rompere il patologico equilibrio della loro solitudine venendo a far visita a Marguerite per pregare e spettegolare con lei. Alvia Reale è chiamata a incarnare donne molto diverse tra loro, ed è notevole la disinvoltura con la quale passa dal fare lascivo e sfrontato della cameriera di facili costumi con cui l'anziano marito si intrattiene saltuariamente in un bar notturno, e la spensierata leggerezza della defunta ex moglie di Émile.
Il pubblico resta in bilico tra il riso e l'atterrimento, di fronte a dinamiche che possono apparire surreali e tragicomiche, ma che insinuano il sospetto misto a consapevolezza che simili degenerazioni dei rapporti umani possano essere realtà, quando a un punto della vita la ragione si sfalda e ci si sente persi e senza più una vera identità.
Susy Suarez 




Il gatto
Dall’omonimo romanzo di Georges Simenon
Adattamento Fabio Bussotti
Con
Alvia Reale Marguerite
Elia Schilton Émile
e Silvia Maino Signora Martin
Scene Francesco Ghisu
Costumi Francesca Novati
Luci Carlo Pediani
Suono Alessandro Saviozzi
Regia Roberto Valerio
Produzione COMPAGNIA UMBERTO ORSINI

giovedì 11 ottobre 2018

REPARTO AMLETO - Regia di Lorenzo Collalti


Tutte le volte che sentiamo il nome di Amleto nel titolo di uno spettacolo teatrale, siamo portati a pensare che ci si stia per trovare dinnanzi all'ennesima improbabile rivisitazione del classico dei classici, in nome di una sedicente ricerca artistica, ma questo spettacolo non è nulla di tutto questo, anzi, con arguta ironia dileggia proprio tale mal costume. Amleto stanco di essere maltrattato e profanato dai registi moderni, va in crisi, e colto da un esaurimento nervoso che lo porta a non capire più esattamente quale sia il suo vero senso, si ritrova su una sedia a rotelle, nel reparto di igiene mentale di un ospedale, sorvegliato da due singolari infermieri. Amleto ci viene presentato come un ragazzo giovane e fragile, il quale suscita quasi tenerezza nel suo sentirsi confuso e schiacciato dal peso del significato filosofico che da quattro secoli viene attribuito alla sua tragedia e al suo personaggio, dalla gravità di quel “dubbio universale” che si trascina dietro il suo monologo, divenuto il monologo teatrale per antonomasia.
La tragedia di Amleto in questo caso, diventa il volersi liberare dalla tragedia. Con questa pièce, che ha tutti i toni della commedia, la compagnia “L'uomo di Fumo” affronta un argomento per nulla faceto.
Il principe di Danimarca (Luca Carbone) finalmente si ribella, e prova a spiegare il suo tormento al primario della clinica (Lorenzo Parrotto), il quale per guarirlo gli propone di mettere in scena il suo psicodramma, proprio con l'aiuto dei due improbabili infermieri (Cosimo Frascella e Flavio Francucci). Ne scaturiscono dialoghi surreali, battibecchi e gag che fanno perno soprattutto sui buoni tempi comici dei due infermieri, che se pur fannulloni e indolenti, prenderanno a cuore il caso del giovane Amleto e involontariamente, con le loro parole, lo guideranno nel suo percorso di consapevolezza.
Niente scenografia, tutto poggia su un testo ben scritto, e quattro attori giovani che gestiscono con sicurezza la scena.
Il ritmo è serrato, sinergico l'incontro tra registri linguistici differenti, quello popolare e folcloristico dei due infermieri e quello del disorientato Amleto, il quale farnetica con linguaggio aulico versi del bardo e profondi concetti intellettuali.
Amleto vorrebbe solo riuscire a tornare alla sua autenticità, a spogliarsi dal fardello del suo “personaggio” e poter essere solo una “persona”. Vorrebbe rifuggire una volta e per tutte dai soprusi dei registi contemporanei, i quali non sapendo resistere alla tentazione di abbandonarsi alle più sottili analisi di reconditi processi mentali e alla ricerca di un'originalità a tutti i costi, lo rimestano sulla scena agghindato nei modi più indecorosi.
Ce la farà il giovane principe di Danimarca finalmente ad emanciparsi?
Un dubbio resta, ma che non sia amletico.
Susy Suarez 

Reparto Amleto 
scritto e diretto da Lorenzo Collalti
con Luca Carbone, Flavio Francucci, Cosimo Frascella, Lorenzo Parrotto

Produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale 
in collaborazione con L’Uomo di Fumo - Compagnia Teatrale
Spettacolo vincitore di Dominio Pubblico edizione 2017