Sempre
più spesso capita di dover affrontare, anche in famiglia, il
sopraggiungere di gravi ed a volte mortali malattie, ma cosa succede
quando la malattia mortale colpisce entrambi i genitori, e due
giovani figli vengono messi di fronte ad una delle più strazianti
scelte che possa ricadere su un figlio? Una scelta che fa sentire
paradossalmente impotenti, poiché qualsiasi essa sia, segnerà una
condanna per tutti.
Scatta
una tragedia familiare attraverso la quale l'autore scava all'interno
dei meccanismi archetipici che legano padre, madre, figlio, figlia,
sorella e fratello.
La
struttura del teatro permette al pubblico di circondare a distanza
ravvicinata lo spazio scenico
in
modo da potersi sentire quasi parte di esso, testimone oculare di una
tragedia che si dipana sempre più in profondità, diretta con onestà
ed immediatezza.
Risulta
impossibile non compenetrarsi nel dolore che dilania l'animo dei due
fratelli (Massimiliano Benvenuto e Barbara Ronchi), uniti da un
rapporto quasi carnale nella sua intensità. Le dinamiche
psicologiche ed emotive che si innescano, risvegliano quei fantasmi
che infestano l'inconscio di ognuno di noi, qualsiasi sia la nostra
storia familiare o lo stato dei rapporti con i nostri congiunti. Ha
un fascino sinistro il modo in cui intorno all'intimità domestica
della tavola da pranzo, osserviamo affiorare tutti i conflitti
taciuti, i rimpianti, le cicatrici, gli sciocchi pudori, quell'amore
che rende quattro persone un' unità indissolubile anche e
soprattutto di fronte alla morte.
La
pièce ci lascia spiare la quotidianità, con i suoi tempi, le
pause, silenzi densi e vibranti di parole.
Il
tormento più impietoso per i due giovani, è la paura del baratro
che verrebbe a risucchiarli dopo la scelta. Ma forse “soffrire in
tre non è meglio che in due?”, come prova a suggerire il fratello
nell'incessante brusio di pensieri che rischia di inghiottire la
ragione.
A
tutto ciò si affianca la disperata lotta intrapresa dal primario
(Aglaia Mora) e dal giovane dottore (Matteo Quinzi) che seguono il
caso clinico della famiglia, la quale vorrebbero pilotare la scelta
della figlia, in nome di un etica professionale, di una deontologia,
di una morale che mai quanto in questi casi affoga nel relativismo
più profondo.
Qualsiasi
scelta venga fatta, sarà una scelta atroce, ma alla fine cosa dirà
la coscienza a i due ragazzi? Avranno la forza di decidere o
decideranno di non scegliere? Infondo non sono solo i loro due
anziani genitori, (due meravigliosi Ermanno De Biagi e Michela
Martini), ma essi stessi a trovarsi in bilico a guardare giù,
dall'alto di una fredda torre.
Un
eccellente pezzo di teatro contemporaneo che tiene col cuore stretto
ed il fiato sospeso per quasi due ore, che per la straordinaria
bravura dei suoi interpreti, e per il sereno equilibrio senza
sbavature della regia priva di inutili enfasi retoriche e pietismi, è
una perla rara nel panorama del teatro contemporaneo italiano.
Susy
Suarez
DAL
7 AL 25 GENNAIO 2015 al TEATRO ARGOT STUDIO
Progetto Goldstein
in collaborazione con Teatro Argot Studio e Uffici Teatrali
DALL'ALTO DI UNA FREDDA TORRE
di Filippo Gili
regia Francesco Frangipane
con Massimiliano Benvenuto, Ermanno De Biagi, Michela Martini,
Aglaia Mora, Matteo Quinzi, Barbara Ronchi
scenografia Francesco Ghisu
costumi Sabrina Beretta
musica Jonis Bascir
luci Giuseppe Filipponio
Progetto Goldstein
in collaborazione con Teatro Argot Studio e Uffici Teatrali
DALL'ALTO DI UNA FREDDA TORRE
di Filippo Gili
regia Francesco Frangipane
con Massimiliano Benvenuto, Ermanno De Biagi, Michela Martini,
Aglaia Mora, Matteo Quinzi, Barbara Ronchi
scenografia Francesco Ghisu
costumi Sabrina Beretta
musica Jonis Bascir
luci Giuseppe Filipponio
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaUna scrittura ricercata e dotta (in alcuni passaggi forse troppo) e una bella regia alla Bergman segnano la seconda prova come autore di Filippo Gili, dopo il bellissimo "Prima di andar via". Qui, forse, rispetto al debutto, il pubblico (sempre disposto a cerchio intorno alla scena ed agli attori) si sente più entomologo che membro di famiglia, complice qualche ricercatezza stilistica e di lingua che, a tratti, raffreddano il pathos ed ibernano i sentimenti. Una citazione è d'obbligo per la bravissima Barbara Ronchi e per Ermanno De Giorgi. Grandi applausi, e la certezza di aver di fronte un eccellente autore che però, alla sua terza prova, dovrà per forza esplorare altre tematiche e canoni espressivi.
RispondiElimina