giovedì 3 maggio 2012

MARATONA DI NEW YORK - Regia Edoardo Erba (Recensione)



Le mille luci di una New York in bianco e nero, poi una strada deserta di notte tra le sterpaglie, due ragazzi, Mario (Cristian Giammarini) e Steve (Giorgio Lupano), amici di sempre, si incontrano per correre, allenarsi alla grande maratona. Iniziano e, a parte una breve pausa, non si fermeranno mai per tutta la durata della pièce. Alle loro spalle un cielo stellato incombe, uno spazio siderale che mette i brividi con la sua fissità, attraverso il quale, schegge di ricordi passano in frame convulsi che fanno appena in tempo a colpire la retina e sparire.
Ricordi di infanzia, di un'adolescenza imbranata, rimpianti, “Vorrei poter correre indietro nel tempo e spaccare tutte le facce che non ho spaccato” dice Mario, e Steve, che gli rimprovera di parlare sempre del passato e gli intima di continuare a correre, di non provare a fermarsi, di correre attraverso il dolore fino a rendersi insensibili.
Dalla conversazione apparentemente leggera, quotidiana, emergono due caratteri diversi, la forte determinazione un po' cinica di Steve, che incarna tutti gli stereotipi del mito della prestanza, intelligenza, prestazione ed efficienza in un continuo desiderio di dimostrare alla vita di essere migliori, non fermarsi a costo di “farsi spappolare la milza” perché la “vita è un incubo e bisogna fargliela pagare”, Mario invece è il più vulnerabile, nostalgico, malinconico.
Senza mai fermarsi sembrano parlare del più e del meno e l'azione dà l'impressione di non essere destinata ad avere apparenti risvolti, finché pian piano i personaggi si fanno meno distanti e inaspettatamente Mario prende lo slancio e supera l'amico. Adesso è lui ad incitarlo a non mollare, a seguirlo al di là del passaggio a livello oltre il quale non si sono mai spinti prima, ma Steve non può farlo, lo guarda allontanarsi inghiottito dal buio.
La pièce è strutturata in modo che nello spettatore salga gradatamente  l'inquietudine e il sospetto di star assistendo a qualcosa di più che una semplice fatua conversazione tra due giovani in allenamento, e i video, i suoni, i ritmi, sapientemente commisti e strutturati, catturano l'attenzione fino alla fine.
Il testo è quello del premiato drammaturgo lombardo Edoardo Erba, scritto nel ’91, vincitore l’anno dopo del Premio Candoni, tradotto in 15 lingue e messo in scena in diversi paesi del mondo. Originale e metafisico, la sua forza è nell'allusione e nella suggestione di uno spazio e di un tempo che sembrano non avere consistenza. Un testo che ha bisogno di sedimentarsi ed essere metabolizzato perché affiorino alla coscienza tutte le metafore e i sottintesi di cui è disseminato. Usciti dal teatro man mano si compongono i tasselli, si dipanano interrogativi e altri ne emergono.
Nonostante lo sforzo fisico a cui i due attori, (nonché registi della pièce), sono sottoposti, non calano mai in naturalezza e in forza interpretativa.
Il loro coinvolgimento nell'azione e totale e totalizzante, due diversi modi di correre, due diversi modi di passare attraverso la vita, che alla fine non è altro che una grande Maratona di New York. Avere anni di corsa nelle gambe, correre senza sapere nemmeno più perché si corre e dove si vuole andare, per poi finire inevitabilmente al di là del passaggio a livello, nel freddo cosmico.
SUSY SUAREZ


MARATONA DI NEW YORK
di EDOARDO ERBA





diretto e interpretato da 
CRISTIAN GIAMMARINI e GIORGIO LUPANO 
Arriva dal 2 al 6 maggio 2012 al Piccolo Eliseo di Roma

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