In
scena dal 16 al 26 maggio al teatro Piccolo Eliseo di Roma
“Spoglia-Toy”
è
la nuova opera teatrale firmata da Luciano
Melchionna
il quale continua, dopo il grande successo di “Dignità
autonome di prostituzione”,
a offrire al pubblico più che una semplice messa in scena, una vera
e propria esperienza unica. Scardinando infatti le convenzioni del
rapporto tra spazio scenico e spettatore, la relazione tra l'attore e
i suoi uditori, e strappando questi dalle consuete comode poltrone di
velluto, accompagna il pubblico in un viaggio assieme agli stessi
performers, esplorando così nuove possibilità di interazione con lo
spazio teatrale e nuove modalità di percepire un'opera
drammaturgica. In questo “Spoglia-Toy” Melchionna reinventa il
concetto base di spettacolo itinerante in una chiave totalmente
diversa e innovativa. Undici calciatori e un mister, uno spogliatoio
prima di una grande e decisiva partita in cui aleggia odore di
sudore, di adrenalina. Il pubblico vi viene condotto passando
attraverso un buio tunnel sulle cui pareti, come delle installazioni
di una galleria d’arte moderna, scorrono grandi ritratti in bianco
e nero dei protagonisti. Una musica tecno, incalzante e ansiogena,
“sospinge” gli spettatori in questo primo spazio scenico in cui
ritroviamo i calciatori, come in ogni spogliatoio che si rispetti, in
accappatoio o coperti solo da un asciugamano in vita i quali
attendono con fibrillazione di entrare in campo. Ci sediamo lì,
intorno a loro, a osservare quel rito collettivo celebrato dal Mister
che, come un truce comandante, incita i suoi guerrieri prima di
scendere in battaglia esortandoli con un monologo intenso e
appassionato. Si rivolge ai suoi pupilli, calciatori talentuosi, tra
gli uomini più famosi, ricchi e di successo, divenuti ormai icone
nell'immaginario collettivo. Il Mister li sferza con parole talora
aggressive, canzonatorie e feroci, parole che si rivelano sottile
disamina sul bieco e tracotante macismo che caratterizza determinati
ambienti, ma anche sui suoi luoghi comuni e sui quei milioni di
assatanati di nulla che riempiono gli stadi e che, idolatrando i
giocatori come semidei, trasformano il gioco del calcio nello
“sfogo” del calcio.Un numero viene assegnato a caso al botteghino
ad ogni spettatore. Sarà il numero del calciatore che sarà
chiamato a seguire dopo questa prima introduzione, passando a una
dimensione ancor più raccolta in cui il personaggio “calciatore”
si umanizza e nell'intimità del suo spogliatoio personale si mette
concretamente a nudo offrendoci uno spicchio della sua vita, della
sua anima. Undici attori, undici calciatori, undici storie. Perché
anche i calciatori hanno la propria storia, la propria sensibilità,
nonostante i luoghi comuni li raffigurino perlopiù ignoranti, rozzi,
illetterati, esaltati, viziati e strapagati. Molto spesso, infatti,
dietro la vanagloria di questi moderni gladiatori, scagliati
nell'arena in pasto al pubblico adorante, si celano esperienze di
vita molto dure, background culturali e sociali al limite: disagio,
fragilità, desiderio di riscatto. Un solo monologo, un solo
calciatore per ogni spettatore, il che lascia inevitabilmente col
desiderio di infilarci in spogliatoi diversi, con la curiosità di
vedere e sentire “spogliarsi” anche gli altri, carpirne le
confidenze, ma forse è anche proprio questo senso di casualità la
parte interessante dello show. Potrà accadere, come successo a me,
di finire nello spogliatoio del giovane “calciatore” Agostino
Pannone
che racconta di un padre che non ha mai creduto in lui, del suo
desiderio di fuga da una vita mediocre, dalle parole sminuenti e
scoraggianti di un genitore che ha fatto crescere il figlio nel
disamore. E anche adesso che il padre è ormai morente, il ragazzo al
di lui capezzale, gli sbatte in faccia la sua vittoria con un sadismo
quasi amaro e vendicativo dietro cui vibra un abisso di profondo
dolore e delusione. Sicuramente a suo agio dall'uso del proprio
dialetto d'origine (in questo caso drammaturgicamente giustificato),
il giovane attore napoletano riesce a renderci con generosità tutta
l'intimità della sua confessione. La forza del suo sguardo aggancia
gli astanti trasfondendo loro tutta l'intensità e la rabbia dolente
che scorre dietro ogni sua parola. Esercizio non semplice per un
interprete, anche il più scafato, recitare in uno spazio così
angusto, letteralmente a pochi centimetri dagli spettatori, tanto da
riuscirne a cogliere ogni respiro, ogni minimo movimento, ma
conservando la concentrazione senza mai perdere l'attitudine emotiva
del personaggio. Tutto è orchestrato affinché gli undici monologhi
inizino e finiscano quasi all'unisono così da permettere al pubblico
di riunirsi di nuovo insieme sul finale, e condotto ad accomodarsi in
platea. Ma il sipario rimane chiuso, i ragazzi si muovono intorno
alle fila di poltrone urlando, come a incitarsi vicendevolmente,
frasi celebri legate al mondo del calcio. Citazioni di letterati,
filosofi, artisti, politici, storici, cantanti, a dimostrazione di
come questa forma di frenesia collettiva permei ormai la nostra
cultura da generazioni. Ipnotica e affascinante la coreografia, che
gli interpreti eseguono distribuiti lungo le scalinate ai lati della
platea, dal sapore di una danza tribale. Poi finalmente il sipario
si apre e su un piedistallo, che ricorda quello delle sculture sacre,
nascosta dietro una mostruosa maschera da vitello, irrompe in scena
un essere dalle fattezze femminili. La creatura si presenta come
“SS”, ovvero “Società Stessa”. Lei è quel “Vitello
d'oro” che
nella mitologia sacra fu il “falso” idolo fabbricato da Aronne per soddisfare gli ebrei durante l'assenza di Mosè,
quando questi ascese al Monte Sinai. Ma in questo caso rappresenta
l’animalesca incarnazione di tutte le contraddizioni dell'animo
umano: debolezze, corruzioni, follia e quell’insensato fanatismo
che tenta di colmare ogni vacuo abisso interiore. Nel
suo lungo monologo, col vigore di un politico da comizio in pubblica
arringa, vomita caustica e veloce la sua apologia del nulla, l'
esaltazione dei mezzi di comunicazione di massa i quali hanno
delineato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità
e concretezza. Un
edonismo neo-laico ciecamente dimentico di ogni valore umanistico.
Allo stregua in cui le divinità religiose del passato
simboleggiavano le priorità assolute dell’esistenza, oggi i
calciatori ne rappresentano infatti le divinità terrene di un culto
ormai secolarizzato; i totem sacri e inviolabili per quelle vaste
moltitudini di persone ormai espropriate di autentici valori
spirituali. Ottima la scelta dei costumi. I calciatori, uno ad uno,
indossano la loro divisa da semidei: pantaloncini e maglietta d'oro
con una grossa catena al collo. D'effetto anche il vestito in lattice
trasparente della dea, che richiama l'involucro di un prodotto
confezionato. La drammaturgia è densa di contenuti e uno spettatore
attento e riflessivo riuscirà a coglierne tutte le provocatorie
sfumature. Nella sua scrittura Melchionna, in questo caso coadiuvato
da quella di Giovanni
Franci,
riesce sempre a dosare un'istanza filosofico-intellettualistica con
una vena di pungente ironia, giocando a divertirsi col grottesco e
divenendo così fruibile sia a un pubblico meno sensibile, sia a uno
più arguto e recettivo che saprà certamente coglierne tutti i
sottili simbolismi. Spettacolo itinerante? Performance? Teatro
sperimentale? Perché voler a tutti i costi etichettare una
rappresentazione drammaturgica così potente che fa divertire,
entusiasmare, incuriosire, e che così efficacemente ci scuote nella
sua dimensione estetica e formale.
Susy Suarez
SPOGLIA-TOY
Testi
di Luciano Melchionna e Giovanni Franci
Con
Lorenzo
Balducci,
Orazio Caputo,
Mauro
F. Cardinali,
Gennaro Di
Colandrea,
Adelaide
Di
Bitonto,
Emanuele Gabrieli,
Sebastiano
Gavasso,
Pierre Jacquemin,
Gianluca Merolli,
FabrizioNevola,
Roberto Oliveri,
Marcello Paesano,
Agostino Pannone
Costumi
Milla
Scene
Chiara
Carnevale
Musiche
a cura di Riccardo Regoli
Installazioni
fotografiche Mario Pellegrino
Assistente
alla regia Sara Esposito
Consulenza
sportiva Sebastiano Gavasso
Produzione
Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro
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