“Ditegli sempre di sì” in scena al teatro Ambra Jovinelli dall’ 8 al 19 gennaio è uno dei primi successi firmato Eduardo De Filippo. Scritto nel 1925 Eduardo lo destinò, quale primo interprete, a Vincenzo Scarpetta. Col tempo tuttavia ci si affezionò molto e vi furono varie riproposizioni tra cui la meravigliosa versione televisiva del 1962. Il protagonista è Michele Murri, il quale dopo un anno d'assenza torna a casa della sorella. Michele non rientra da un lungo viaggio d’affari, come si vuol far credere agli amici e ai vicini, bensì da un anno passato in un manicomio e dimesso dopo essere stato considerato dal suo medico ufficialmente pronto alla riabilitazione nella vita quotidiana. Diagnosi che, col dipanarsi della vicenda, vedremo rivelarsi fallace. Roberto Andò sembra essere rimasto fedele all'impianto registico di De Filippo, allo stile e alla forma del teatro classico di tradizione napoletana, evitando tediose rivisitazioni o la ricerca forzata di scialbe originalità, e lo fa in maniera ineccepibile dal punto di vista formale. “Ditegli sempre di sì”, come tutte le fortunate opere di De Filippo, racconta la società italiana del novecento ponendo l’interesse focale sul nucleo familiare, il vero specchio della cultura napoletana, e attraverso il tema della follia offre una sagace analisi dell'assurdità dei comportamenti sociali.
In
scena un cast numeroso di indubbia professionalità.
Il
teatro di De Filippo si distingue per specifici caratteri e maniere,
ovviamente intriso da un umorismo che si esprime attraverso la
musicalità
dell' inflessione e del dialetto napoletano, dialetto che ha i suoi tempi e
i suoi equilibri, che sono quelli della verità, in questo caso però
edulcorati in favore di una recitazione dai ritmi
eccessivamente accelerati, dai toni farseschi e manieristici spinti
troppo fuori dal seminato per una pièce di livello come questa.
Questa scelta
non aggiunge nulla all'opera, non la rende né
più
divertente
né
più
agile,
ma ne svilisce l'autenticità
e
la profonda attualità.
Il
lato farsesco è
solo
parte dell'intreccio, ma in questo caso sembra si sia voluto
conferire a tutti i personaggi un
aspetto esasperatamente macchiettistico che li limita e li
appiattisce.
Michele
Murri è
il
perno della commedia, sia perché
ne
è
il
protagonista, sia perché
il
suo interprete, Gianfelice
Imparato,
al
cinema, in tv o in teatro, riesce sempre ad attribuire ai suoi
personaggi una speciale autenticità che gli appartiene, e in cui
riverberano naturalmente le corde di Eduardo. Il suo Michele
funziona: con le ingenuità, i balbettii, l'incedere incerto e buffo
che inteneriscono e divertono allo stesso tempo. Michele prova a
rapportarsi con gli altri secondo un proprio codice linguistico,
cerca il ragionamento ossessivamente, prende
tutto alla lettera, puntualizza ogni cosa che gli viene detta con
una precisione maniacale. La pazzia di Michele appare come una forma
patologica di innocenza, di purezza senza filtri che non può
essere
compresa all'interno dei meccanismi del vivere comune, fatto di
convenzioni, ipocrisie, inganni, illogicità
ed
egoismi. Per questo involontariamente innesca una serie di
fraintendimenti, equivoci e ironie sulle quali si impernia tutta la
commedia.
Insieme
a Michele a sostenere le scene più
esilaranti
e in fine anche più
toccanti
dell'opera è
Luigi
(Edoardo
Sorgente),
studente
spiantato e fannullone che prova a fare l'artista con scarsi
risultati. Sorgente spicca indubbiamente per l'incredibile energia
con la quale cavalca la scena. Spassoso il momento in cui intorno al
tavolo Luigi recita una poesia per far colpo sulla sua amata, di cui
segretamente è
innamorato anche Michele.
Eleganti
e appropriate le scene e il disegno luci di Gianni
Carluccio,
dal salotto della casa della vedova Teresa Lo Giudice (Carolina
Rosi)
del primo atto, sino alla tavola da pranzo nella residenza di
campagna dell'amico di famiglia Vincenzo Gallucci (Gianni
Cannavacciuolo).
Sarà qui infatti dove tutti si ritroveranno nel secondo atto e si
compierà il sorprendente epilogo.
Michele
si sente frustrato e fuori posto non riuscendo più a comprendere, e
barcolla sul confine tra lo sragionare e il ragionare oltremodo,
portandoci a considerare come in fondo la follia possa essere
null'altro che una forma di eccessiva lucidità.
Poetico
ed evocativo il quadro finale in cui tutti i personaggi indossano
giacche e camicie bianche, citando il tipico abbigliamento dei malati
mentali nei manicomi. In fondo come diceva Alda Merini: “Chi decide
chi è
normale?
La normalità
è
un'invenzione
di chi è
privo
di fantasia”.
Susy
Suarez
“DITEGLI
SEMPRE DI SI’”
di
Eduardo De Filippo
con
(in ordine di apparizione) Carolina Rosi, Paola Fulciniti, Massimo De
Matteo, Edoardo Sorgente, Vincenzo D'Amato, Gianfelice Imparato,
Federica Altamura, Andrea Cioffi, Nicola Di Pinto, Viola Forestiero,
Boris De Paola, Gianni Cannavacciuolo
scene
e luci Gianni Carluccio
costumi
Francesca Livia Sartori
regia
Roberto Andò
produzione
Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo
Fondazione
Teatro della Toscana
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